
Massimo Lovati, avvocato di Andrea Sempio
Garlasco (Pavia) – “È un’indagine piena di trabocchetti, non ci si può fidare di niente e vengono gli incubi. Non sulle unghie o sull’impronta, quello non preoccupa. Ma su quello che non hanno mai analizzato nel 2007». L’avvocato Massimo Lovati, che con la collega Angela Taccia difende Andrea Sempio, indagato nella riaperta indagine sull’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco il 13 agosto 2007, dopo il “sogno“ del sicario, in tv ha raccontato un suo nuovo “incubo“ sulle analisi dell’incidente probatorio: il Dna di Sempio trovato sullo yogurt repertato tra la spazzatura di casa Poggi il giorno del delitto.
Avvocato, può spiegare meglio questo suo “incubo“?
“Gli incubi ci sono, è la preoccupazione. È l’inconscio che di notte si sviluppa al di là della nostra volontà. L’incubo si ricorda di più perché ci sveglia. Io ho un incubo ricorrente: mi sogno delle cause che non ci sono, talmente intricate che mi fanno impazzire. Ma poi mi sveglio ed è come una liberazione, perché era solo un incubo, quando mi sveglio è finito”.
Quindi il Dna di Sempio su un oggetto come il Fruttolo, che potrebbe provare la sua presenza nella casa del delitto parecchi giorni dopo la partenza per le vacanze del suo amico Marco, è solo un incubo dal quale si è svegliato?
“L’incubo è legittimo, se ci pensiamo bene”.
In che senso? Come avvocato sa cose diverse da quelle che può dire?
“No, io non so niente”.
Perché l’incubo proprio del Fruttolo e non del tè freddo?
“È uguale, sono tutti oggetti non presi in considerazione nel 2007. Le altre cose che hanno sbandierato non mi preoccupano. Le unghie, l’impronta, non le temo. Il Fruttolo sì”.

I dubbi sono sull’estraneità dichiarata da Sempio?
“Io come avvocato difendo anche i colpevoli, ma non mi vengono gli incubi per i colpevoli. Mi vengono gli incubi proprio perché sono certo dell’innocenza del mio assistito”.
Se i dubbi non riguardano Sempio di chi non si fida, dei periti?
“Io dei periti mi fido al mille per mille”.
E di chi invece non si fida?
“Fin dall’inizio ho messo i puntini sulle “i“ sull’insidiosità di questa indagine. È un’inchiesta piena di trabocchetti. Già partendo dal capo d’incolpazione, in concorso, che non lascia spazi difensivi: è ingannevole. Poi chiamano il mio assistito per rifargli le impronte con l’inchiostro: non mi posso fidare. Possono fare tutto quello che vogliono, impunemente. Se da una parte c’è slealtà, dall’altra parte c’è malfidenza. E si spiegano anche gli incubi”.
Teme “trabocchetti“ anche nell’incidente probatorio, nonostante le garanzie dei periti terzi nominati dal Gip e della presenza dei consulenti delle parti?
“Io faccio l’avvocato, mi vengono preoccupazioni, dubbi. È il mio mestiere dubitare. Magari trovano il mio Dna”.
Lei frequentava casa Poggi?
"No, ma il Dna può essere di chiunque. Non bisogna guardare solo al Dna dei frequentatori di casa Poggi. Per il caso di Yara, quando hanno trovato il Dna di Bossetti, hanno fatto prelievi di Dna a tutto il paese per cercare l’Ignoto. Quella è la maniera giusta di procedere. Qui no, partono dalla fine per arrivare all’inizio: questa è la giustizia del Diavolo. Partono dai complici, che non trovano perché non ci sono, per andare a sorreggere un capo d’incolpazione assurdo che non mi permette di difendermi. Mi devono spiegare perché hanno indagato Sempio. Nessuno ha impugnato l’archiviazione del 2017. Qui mancano i presupposti: le unghie non ci sono più, l’intonaco dell’impronta neanche. E per quell’impronta ci hanno sbattuto in faccia che avevano trovato l’assassino. Cosa mi devo aspettare ancora?”.
Iniziano martedì 17 giugno le operazioni peritali sui reperti ritirati giovedì scorso all’Istituto di Medicina legale di Pavia e alla caserma dei carabinieri di Milano. Negli uffici della polizia scientifica della Questura di Milano, per l’incidente probatorio chiesto dalla Procura di Pavia nella riaperta indagine sull’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco il 13 agosto 2007, i lavori saranno coordinati dai periti incaricati dal Gip Daniela Garlaschelli, la genetista Denise Albani e il dattiloscopista Domenico Marchigiani, alla presenza dei consulenti di tutte le parti coinvolte.
I genetisti Carlo Previderè e Pierangela Grignani per la Procura, il generale Luciano Garofano per la difesa dell’indagato Andrea Sempio, il genetista Ugo Ricci e il dattiloscopista Oscar Ghizzoni per la difesa del già condannato in via definitiva Alberto Stasi (ammesso dal Gip «in qualità di persona interessata all’assunzione della prova»), Marzio Capra, Dario Redaelli e Calogero Biondi per la famiglia Poggi.
Tra i sei quesiti posti ai periti, quello voluto dalla difesa di Sempio sulla “catena di custodia“ sarà preliminare all’utilizzabilità degli stessi reperti, per valutare dopo quasi 18 anni la correttezza dei vari passaggi di consegne e le modalità di conservazione. Dovrà poi essere calendarizzato almeno l’ordine dei lavori: saranno necessari non meno di 90 giorni, salvo eventuale proroga.

La mattina del 13 agosto 2007 a Garlasco viene trovata morta una ragazza di 26 anni: Chiara Poggi. Il corpo senza vita è riverso sulle scale che portano in taverna, nella sua abitazione in via Pascoli. Era sola in casa, perché la famiglia (padre, madre e fratello) stava trascorrendo alcuni giorni di vacanza in montagna, in Trentino. A fare la terribile scoperta è il fidanzato Alberto Stasi, che si era recato da lei perché non rispondeva al telefono: il giovane chiama i soccorsi e si reca in caserma dai carabinieri. Entro pochi giorni diventa il primo indiziato per il delitto della 26enne: verrà poi condannato a 16 anni con l'accusa di omicidio volontario (da aprile 2025 è in regime di semilibertà).
Oggi che c'è un altro indagato: Andrea Sempio, grande amico di Marco, fratello della vittima. Il 37enne è rientrato nelle indagini a marzo 2025, dopo che era stato scagionato nel 2017. Ma nella nuova inchiesta spuntano tanti nomi: dalle gemelle Stefania e Paola Cappa, cugine di Chiara, a Roberto Freddi e Mattia Capra, amici di Sempio e Marco Poggi.