Garlasco (Pavia) – Era già accaduto. Prima nel 2007, poi nel 2014. Undici anni fa, il laser-scan si era già posato all’interno della villetta di Garlasco. Al piano terra, sulle piastrelle di cotto imbrattate di sangue, lungo le scale di granito grigio, dove il corpo di Chiara Poggi fu trovato. Oggi come allora mamma Rita e papà Giuseppe hanno aperto la porta di casa, la stessa dove hanno continuato a vivere, custodi di un dramma che non è mai finito.

La Corte d’Appello di Milano, cui la Cassazione ordinò un nuovo giudizio su Alberto Stasi, incaricò il professor Gabriele Bitelli, il dottor Roberto Testi e il professor Luca Vittuari di ricostruire “il luogo teatro dei fatti utilizzando le moderne tecniche geomatiche, estendendole ai primi gradini della scala che conduce alla cantina, posizionandovi le tracce di sangue. Dicano se tale estensione della ricostruzione modifichi il giudizio delle precedenti perizie sulla possibilità per un soggetto che si muove all’interno della stanza, come ha descritto Alberto Stasi, di intercettare le macchie di sangue”.

La tecnologia
Allora il laser-scan, che rilevò in tre dimensioni casa, scale e suppellettili, mappando il sangue, serviva per capire se Stasi, che fu condannato, potesse davvero essere passato di lì, scoprendo il cadavere senza macchiarsi. Droni a parte, la tecnica – fatta la tara alla maggiore potenza di calcolo – è la medesima. Ma lo scopo è completamente diverso. La scansione 3D serve oggi a collocare su quelle scale, su quelle impronte insanguinate a pallini, attribuite a un 42, la presenza di Andrea Sempio. E a comprendere se, come ritiene la Procura di Pavia, il nuovo indagato, sporgendosi dal pianerottolo per gettare il cadavere, possa aver lasciato sul muro la famigerata impronta 33, lo scorcio di palmo di mano, altezza circa un metro e mezzo dal suolo, attribuito a lui dai periti dei pm, che nel 2007 non individuarono né un nome, né sangue.

Come fu utililzzata
Dopo aver mappato goccia a goccia le macchie sui primi due gradini della scala, dividendo ogni forma, inserendola nella mappa, attribuendo a contaminazioni di soccorritori quelle ritenute estranee, nel 2014 si simularono i movimenti di Stasi. Con un calcolo di probabilità, si verificò l’ipotesi che egli avesse potuto evitare di calpestare il sangue, dando per vero quel che egli ha sostenuto: “Ho cercato Chiara, sono sceso su uno o due gradini della scala, l’ho vista e sono scappato via”. I periti dell’Appello bis, nel loro modello matematico, tengono conto anche dello stato emotivo del soggetto analizzato. “Si può concludere che l’imputato (Stasi), ragionevolmente non addestrato ad agire in condizioni di intenso stress, abbia potuto evitare almeno una parte delle tracce di sangue nel percorso di andata, ma è impensabile che ciò sia avvenuto anche all’uscita”, dopo aver trovato il corpo della fidanzata.

Segue, sui primi due gradini, un’analisi puntuale, millimetrica, sulla probabilità che qualcuno, scendendo verso la taverna, possa non aver calpestato neppure una goccia di sangue. Un problema che si riproporrà con Sempio e che con Stasi fu dirimente nella scelta dei giudici fra assoluzione e condanna.
I periti, nella scena del crimine ricostruita in 3D mappata con il laser scanner, calcolarono la probabilità che Stasi potesse, compiendo dieci passi in tutto, ipotesi che riduce al minimo la sua interazione con il pavimento pieno di sangue, camminare senza sporcarsi.

I calcoli
Ebbene, queste probabilità, “se si include anche il gradino 2”, sono “corrispondenti al valore di 0,0000016% se il percorso inizia col piede sinistro, e di 0,0000013% con il piede destro”. Quasi impossibile, sentenziarono gli esperti, aprendo la via alla condanna. Oggi, si ricomincia daccapo. Con un altro nome, quello di Sempio. E il laser scanner va in cerca di prove da usare contro un altro indagato.