GABRIELE MORONI
Cronaca

“Il corpo di Chiara Poggi non è stato contaminato, avevamo guanti in lattice e tute”: i verbali dei soccorritori a Garlasco

Le testimonianze di medico, infermiere e autista del 118 nella villetta di via Pascoli il 13 agosto 2007: “Inquinamento genetico? Mai mosso il cadavere, ci siamo comportati con estrema cautela”. Gli addetti delle pompe funebri: “Tute di carta usa e getta, taglia XL, per coprire anche i calzari”

Chiara Poggi è stata uccisa la mattina del 13 agosto 2007

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Garlasco (Pavia) – I verbali dell’epoca parrebbero chiari. I primi che entrarono nella villetta al numero 8 di via Pascoli, a Garlasco, e furono a contatto con il corpo martoriato di Chiara Poggi, testimoniarono di avere indossato i regolamentari guanti di lattice. Questo dovrebbe avere scongiurato il rischio di inquinamento genetico.

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Soccorritori, titolari di un’impresa di onoranze funebri. Elisabetta Rubbi, medico del 118 di Vigevano, giunge sul posto alle 14.11 del 13 agosto 2007, giorno dell’omicidio, con una infermiera e un autista. L’allarme è arrivato dalla centrale operativa di Pavia alle 13.35 per un intervento in codice rosso. Durante il tragitto, attorno alle 14, la centrale ha informato che è stata accertata la presenza di una persona deceduta. All’arrivo trovano ad attenderli in strada l’ambulanza della pubblica assistenza di Garlasco, due carabinieri e “un civile (Alberto Stasi, ndr) che mi veniva indicato come colui che aveva segnalato il ritrovamento del cadavere al Comando stazione carabinieri”.

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Ascoltata dai militari di Vigevano poco dopo le 17.20 di quel 13 agosto, Elisabetta Rubbi dichiara che “io ed il resto del personale con me intervenuto, ovvero l’infermiera Sonia Bassi Sonia e l’autista soccorritore Enrico Colombo, indossavamo i calzari di protezione alle scarpe e i guanti di lattice".

Chiara Poggi e i rilievi nella villetta di via Pascoli a Garlasco
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Dopo avere descritto Chiara e le operazioni compiute, aggiunge: “Tutta la mia attività di accertamento si è svolta senza muovere il cadavere dalla sua posizione, procedendo tuttavia a toccarlo in alcune sue parti, sempre con le mani protette da guanti in lattice, al fine di constatarne il decesso”. Il sanitario descrive lo scenario insanguinato della casa, la porta aperta, la luce accesa del seminterrato, il corpo di una giovane donna. “Non sono state – è la conclusione – poste in atto da parte mia e del personale sanitario con me intervenuto condotte tali da inquinare o alterare lo stato dei luoghi, delle cose e delle persone”.

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In un verbale successivo (il 10 settembre) la dottoressa precisa un particolare importante: è stata l’unica dell’equipaggio del 118 ad accostarsi al cadavere. “Durante l’intervento ci siamo mossi con estrema cautela per non contaminare la scena del crimine. Quanto riferito vale anche per i miei collaboratori che sono entrati all’interno della casa insieme a me. Al corpo della ragazza mi sono avvicinata solo io per controllare la presenza di un polso carotideo e valutare le lesioni superficiali che si rendevano evidenti all’ispezione e dalla palpazione del corpo senza però modificare la posizione stessa. L’infermiera e l’autista soccorritore sono rimasti fermi sulla porta di accesso alla scala dove era presente il corpo”.

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Fra l’11 e il 12 ottobre 2007 vengono sentiti i fratelli Roberto e Massimo Pertusi, delle pompe funebri Nuova Pertusi S.r.l. di Garlasco, e il collaboratore “a chiamata“ Aldo Bianchi. Testimonianze concordi. Vengono chiamati dai carabinieri intorno alle 19 per il trasporto di una salma.

L'ingresso della villetta di Garlasco il13 agosto 2007
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Portano la barella in vetroresina e il sacco in materiale sintetico impermeabile con una cerniera laterale. Si muovono con estrema prudenza. Entrano in casa Poggi dopo avere indossato i guanti in lattice e le tute di carta “usa e getta“, taglia XL, più comode per i movimenti.

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Non indossano calzari, ma provvedono a preservare dal sangue le suole delle scarpe utilizzando le ampie tute. “Prima di entrare, come nostro solito – ricostruisce Roberto Pertusi – essendo anche stati avvisati della grande quantità di sangue sul pavimento, indossavamo i pantaloni della tuta in modo che il piede non uscisse dall’apertura finale del gambale, ossia rimanesse parzialmente avvolto all’interno della parte finale del gambale e tenuto fermo dall’elastico finale”.

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