GABRIELE MORONI
Cronaca

Chiara Poggi, il pigiama intriso di sangue (poi distrutto) e quelle impronte mai analizzate: la verità su Garlasco era lì?

L’indumento si impregnò perché la vittima venne rovesciata sulle scale: la svista più grave nei primi rilievi. Il patologo Franco Posa: la scienza consentiva la ricerca di profili genetici e impronte. “Risultati oggi dalle foto? Improbabile”

I carabinieri del Ris nella villetta di Garlasco il 13 agosto del 2007. A destra la maglia del pigiama che Chiara Poggi indossava la mattina del delitto

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GARLASCO (Pavia) – La maglietta del pigiama rosa estivo con la scritta “Joy fruits” che Chiara Poggi ha ancora addosso quando, la mattina del 13 agosto 2007, apre al suo assassino la porta della villetta di Garlasco. L’indumento della vittima a più diretto contatto con il killer. Arriva al Ris intrisa di sangue. Viene ispezionata con la Crimescope e la conclusione è che “non sono emerse luminescenze significative”.

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Non viene effettuato alcun prelievo alla ricerca di tracce genetiche. La sentenza dell’Appello bis a Milano, da cui esce la condanna di Alberto Stasi, scrive che le fotografie scattate dai carabinieri di Pavia “evidenziano le quattro tracce dei quattro polpastrelli insanguinati dell’assassino, all’altezza della spalla sinistra, cui corrisponde nella parte anteriore della stessa maglia, un frammento di impronta palmare insanguinata”. Le impronte non vengono analizzate perché, annota la sentenza, “la maglia arrivava al medico legale completamente intrisa di sangue”. Il cadavere è stato rivoltato in maniera malaccorta e il materiale ematico abbia impregnato il tessuto. Nel 2022 la maglietta e gli altri indumenti indossati da Chiara nel suo ultimo scorcio di vita vengono distrutti. Un’evidente compromissione.

C’è un’altra condizione insuperabile: un’impronta non è in grado di “stamparsi” con assoluta fedeltà sulla trama non uniforme di un tessuto. Ma a parte questi dati oggettivi, il pigiama di Chiara, all’epoca, avrebbe potuto “parlare”? È la prima domanda per Franco Posa, criminologo clinico e patologo forense, docente universitario, consulente di varie Procure nazionali e specialista che attualmente assiste la famiglia di Simonetta Cesaroni per il delitto di via Poma, a Roma.

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Un sopralluogo dei Ris con i genitori di Chiara Poggi nella Villetta in Via Pascoli

Dottor Posa, si sarebbe potuto esaminare più a fondo l’indumento?

“La risposta è sì. Il corpo della vittima è stato, per così dire, manipolato dall’assassino, che si è chinato su di esso, l’ha sollevato di peso, si presume dalle ascelle, l’ha scaraventato lungo la scala della cantina. Da qualche parte della maglietta la biologia c’era. Anche in presenza di compromissioni come l’abbondante assorbimento di sangue, sarebbe stato comunque possibile tentare un prelievo selettivo alla ricerca di profili genetici dell’aggressore o degli aggressori. Le impronte insanguinate, come quelle rilevate sul pigiama della vittima, sono punti di contatto diretto tra il corpo della vittima e quello dell’aggressore che possono contenere cellule epiteliali o secrezioni cutanee, utili per un’analisi del Dna. Oltre a questo si sarebbero potuti effettuare dei prelievi nelle parti dell’indumento interessate dalla probabile dinamica omicidiaria che si diceva: sollevamento del corpo, lancio sulla scala”.

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Quali metodologie si sarebbero potute applicare?

“Già nel 2007-2008 erano disponibili metodologie per trattare tracce miste o parzialmente degradate, con protocolli che includevano estrazione organica (fenolo/cloroformio) o metodi più rapidi con kit a colonne in silice. Studi più recenti confermano che anche in tessuti impregnati di fluidi biologici è possibile rilevare il cosiddetto ‘touch Dna’, Dna da tocco”.

Le fotografie delle impronte, oggi, potrebbero risultare utili?

“Una fotografia, soprattutto se effettuata a distanza non conforme, senza un’adeguata scala metrica, illuminazione uniforme e angolo perpendicolare, generalmente non è sufficiente a garantire una comparazione biometrica valida. Questo vale soprattutto per superfici irregolari come i tessuti, che tendono a distorcere o assorbire i dettagli di creste e solchi di una mano. Creste e solchi, ma soprattutto le cosiddette “minuzie“, sono fondamentali per poter identificare un soggetto con oggettività e ragionevole certezza scientifica. Si può partire da una fotografia per una valutazione preliminare, ma questo è generalmente possibile solo se l’immagine è ad altissima risoluzione, ravvicinata, e se la superficie su cui l’impronta è stata impressa risulta stabile, liscia, omogenea. Su una maglietta intrisa di sangue, tutto questo è altamente improbabile”.