
San Siro, come era e come è: se passa l’accordo tra club e Comune verrà demolito
Milano, 16 luglio 2025 – Il destino della maxi-operazione che porterà alla vendita di San Siro a Inter e Milan entro fine luglio resta nelle mani del Tar della Lombardia, che oggi potrebbe sciogliere la riserva sul ricorso presentato dal comitato “Sì Meazza“ di Luigi Corbani. Ultima mossa per cercare di bloccare, al fotofinish, la cessione dello stadio. Nell’udienza, che si è celebrata ieri, il Comune (rappresentato dal capo dell’avvocatura, Antonello Mandarano), ha confermato la sua linea.

Il rischio del declino
“L’abbandono dello stadio di San Siro da parte di Milan e Inter da un lato priverebbe il Comune dell’indotto e del prestigio derivante dalla presenza di uno stadio per le squadre di sere A – si legge nella memoria presentata al Tar – nonché del progetto di riqualificazione dell’intero quartiere di cui le suddette squadre si farebbero carico. D’altro lato comporterebbe il declino dell’impianto, che rimarrebbe svuotato della sua funzione e gravato da costi di manutenzione e gestione cui il Comune non potrebbe far fronte e che sino ad oggi sono stati sopportati dalle squadre”.
L’allarme di Palazzo Marino
Per questo, secondo il Comune, bloccare l’operazione comporterebbe “danni a carico della collettività gravissimi, irreversibili e immediati”. Il ricorso, presentato dai legali Veronica Dini e Roberta Bertolani, verte sul nodo del vincolo storico e architettonico sul secondo anello, che secondo il comitato è già scattato perché sono già trascorsi 70 anni dalla sua realizzazione: “alla fine del 1954 la struttura esterna dello stadio era integralmente costruita e riconoscibile”, e l’8 giugno 1955 “il 76,85% dello stadio è completo e funzionante”.
Foto e documenti
Chiedono quindi di fermare le carte, per dirimere la questione in attesa di un chiarimento definitivo della soprintendenza e del ministero dei Beni culturali. Per dimostrare che il vincolo non scatterà a novembre (quando lo stadio secondo le previsioni dovrebbe essere già venduto) ma è già realtà hanno presentato documenti e foto dell’epoca tra cui uno scatto in bianco e nero, mostrato ieri in aula, risalente al 1954, che raffigura “il nuovo stadio visto da via Patroclo”, proveniente dagli archivi comunali e pubblicato nel libro “Storia di uno stadio“ di Silvana Sermisoni.

La memoria
Nella sua memoria l’avvocato dello Stato Alessandro Pastorino Olmi, che rappresenta ministero e Soprintendenza, sostiene però che “il periodo di 70 anni decorso il quale le cose di interesse culturale sono soggette a tutela si calcola dalla loro esecuzione”, ossia “nel momento in cui la loro costruzione sia portata a compimento” e non “durante le diverse fasi costruttive”.

Calcestruzzo sotto la lente
Quindi, è la posizione, il vincolo non è ancora scattato: “Anche se il calcestruzzo di tutte le gradinate del secondo anello è giunto a stagionatura dall’11 settembre 1955, le opere complementari necessarie perché le strutture principali potessero considerarsi finite si sono protratte sino al 10 novembre 1955, come dichiarato nel verbale di collaudo”. Il Comune ha inoltre rassicurato sul fatto che l’eventuale vincolo non potrebbe essere “eluso dalla demolizione” perché lo stadio, sede della cerimonia dei Giochi 2026, una volta venduto ai club “non potrà essere demolito prima del 2030, cioè prima della costruzione e messa in opera del nuovo stadio”, quando i ricorsi saranno già definiti in via definitiva.
Un passo indietro?
E i club? Potrebbero, in futuro, fare un passo indietro avvalendosi di un articolo del decreto legislativo del 2021 sugli impianti sportivi, citato in aula da uno dei legali: “Qualora, per qualsiasi ragione non imputabile alla società o all’associazione sportiva, i lavori non possano essere avviati entro 120 giorni dalla conclusione del contratto (...) la società può procedere alla riconsegna dell’area e alla restituzione del corrispettivo versato, richiedendo il rimborso delle spese documentate”.
Considerazioni sul tavolo del Tar, che dovrà decidere se sospendere in via cautelare gli atti impugnati, respingere il ricorso oppure fissare un’udienza nel merito senza sospensione. “A nostro avviso – sottolinea Dini – con questa operazione il Comune si sta assumendo un rischio troppo alto, e i costi potrebbero scaricarsi sulla collettività”.