JESSICA MULLER CASTAGLIUOLO
Cronaca

Milano finisce all’ombra delle torri di Gratosoglio, dove i bambini sono invisibili e “il mare è un miraggio”

Nel quartiere al centro della cronaca per la morte di Cecilia de Astis. I racconti dei più piccoli: “La nostra vacanza? Giocare sotto i palazzi”

Una delle Torri bianche dove sorgono le case popolari del quartiere del Gratosoglio. Gli edifici sono stati progettati dallo studio BBPR tra il 1962 e il 1965. Sono alti 56 metri e disposti a coppie costeggiano via dei Missaglia Servizio fotografico realizzato da Andrea Fasani

Una delle Torri bianche dove sorgono le case popolari del quartiere del Gratosoglio. Gli edifici sono stati progettati dallo studio BBPR tra il 1962 e il 1965. Sono alti 56 metri e disposti a coppie costeggiano via dei Missaglia Servizio fotografico realizzato da Andrea Fasani

MILANO – “Spero sia un abbaglio tutta questa oscurità”. Una frase sbiadita. Il desiderio affidato al balcone che pare sospeso nel vuoto, pochi metri dopo la “Casetta gialla”. Milano, estrema periferia sud. Capolinea del tram 3. Le otto torri bianche, monolitiche e severe, a delimitare il perimetro, a decidere l’identità del Gratosoglio. Edilizia popolare fine anni Sessanta. Alloggi per oltre diecimila persone. A progettarle, lo stesso studio architettonico che disegnò Torre Velasca, che da qui sembra lontanissima. Ai piedi del palazzone, la piazza, che non ha nemmeno un nome. Passavano spesso tra questo labirinto di casoni i bambini che non esistono. Il più grande tredici anni, la più piccola undici. Hanno investito Cecilia De Astis, pensionata di 71 anni, proprio accanto ai binari, dove ora è pieno di fiori. Invisibili. Niente scuola, niente documenti. Nell’oscurità.

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Viaggio al quartiere Gratosoglio, Milano, 22 Agosto 2025, Ansa/Andrea Fasani

F. passa in sella alla sua bici. Undici anni. Del quartiere sa tutto, possiamo contarci, dice. Per certi versi è invisibile pure lui, tra i bambini ai margini che aspettano un’occasione, un abbaglio, per esistere. Perché “vivere qui non è tanto bello, c’è molta gente che litiga. Mio cugino mi ha detto che a uno hanno tagliato la gola, proprio là dietro, sotto al ponte. Mi hanno rubato due biciclette, un’altra me l’hanno scassata. Mi sono svegliata una mattina e anche lo specchietto di questa era tutto rotto. Guarda. Poi, al mio amico hanno rubato il gommino della ruota. Per essere gentile io gli ho prestato il mio. Dobbiamo mettere delle videocamere sotto casa, glielo ho detto ai miei. Certo, qualche cavolata con i miei compagni ogni tanto capita di farla. Ma poi chiediamo sempre scusa”, racconta, senza prendere mai fiato. E questa estate come la passi? “E niente, andiamo un po’ qui in giro, giochiamo sotto i palazzi. Poi quando il mio papà va in ferie, mi ha promesso che andiamo a vedere i delfini”.

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Il mare che è un miraggio, nel racconto di un bambino che pare già cresciuto. D’altronde all’orizzonte qui “non si vede nulla: solo case e automobili e ancora automobili e case”, dice Cinzia Malagoli, una mamma che vive da 25 anni nel quartiere. “Prima si stava un pochino meglio, almeno c’erano i negozi, era una zona servita. Si poteva uscire la sera e starsene a guardare le vetrine. Ora anche andare al supermercato, se non hai un mezzo tuo, è un incubo. Ho una paura tremenda. L’unico posto è l’Eurospin, ma a tutte le ore ci sono persone non raccomandabili. A me dispiace anche per loro, sono buttati lì e tutti fanno finta di niente. Non possiamo nemmeno ignorare sempre no?”, si chiede.

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Viaggio al quartiere Gratosoglio (Ansa/Andrea Fasani)

Il riferimento è alla Casa dell’Accoglienza in via Saponara, l’ex Scuola gialla, che si inserisce in un contesto già difficile, come se si volesse “ormai relegare tutte le miserie nelle periferie”, dice un residente. L’edificio è stato ceduto dal Comune di Milano in comodato d’uso alla Fondazione Fratelli di San Francesco. Ospita senzatetto, profughi, persone fragili, migranti. Il viavai è continuo, si entra e si esce, si dorme con i tappeti alle finestre. Visi stanchi, corpi magri. I più molto giovani, anche se è difficile definirne l’età. Sembrano provenire da luoghi fisici e mentali siderali. E ora sono qui, spaesati, ai margini di un mondo che forse hanno sognato. Quanti sono? Come vivono? “Il Signore vede e provvede, qui tutto fila liscio”, l’unica risposta di un operatore del centro. Non si entra. Anche qui sostano gli invisibili.

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“Una volta il problema eravamo solo noi terroni”. Sorride, Vincenzo Lauretta, che quando è morta la moglie si è trasferito nella casa che la madre aveva comprato all’alba degli anni Novanta. “Prima abitavo al Corvetto, proprio sulla piazza, e stavo benissimo. Ero più fortunato di adesso. Qui mi hanno rubato la macchina, il camion”, dice. Thomas Mascaro viene spesso nel quartiere. La ragazza abita qui, in una casa popolare dell’Aler, come un po’ tutti: “Sono preoccupato per lei. Qui il giorno è tutto sommato tranquillo, ma la sera capisco possa avere paura a tornare a casa da sola. Cerco di starle vicino. L’altro giorno al pian terreno, hanno sfondato la lastra e sono entrati a occupare. Abbiamo segnalato alle forze dell’ordine, ora aspettiamo. Dicono che forse vengono a sgomberare a settembre, ma poi bisogna valutare caso per caso: sono tutte situazioni disperate, madri con bambini, famiglie che non hanno un euro”.

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Cinzia Malagoli (Ansa/Andrea Fasani)

Ma cosa sognate, ve ne volete andare da qui? “Ci piacerebbe andare all’estero. L’altra opzione è farci i soldi e andare a vivere al Duomo”, dice, poi ci riflette e sorride: “Direi che è più probabile l’estero”. Invisibili sono anche i muri. Si passa dai sottoscala fatiscenti, fino alle Poste, tra le case occupate. Si sosta nei giardinetti. C’è chi si lava alla fontanella. I vestiti, la faccia, i piedi. Bambini corrono sui tricicli. Le altalene sono rotte, non si può giocare. Una mamma trascina il passeggino con accanto tre figli. Passa svelta, senza prendere l’ombra sulle panchine. Un papà: “mia figlia non sa che sono suo padre. Per me va bene così. Non voglio che sappia che sono un uomo fallito”. Ancora Cinzia, sfrattata da una casa popolare quando i suoi bimbi erano piccoli, si guarda indietro e spera solo che, tra le difficoltà, sia riuscita ad essere una buona mamma. Perché qui crescere è faticoso, anche per chi è già grande. E anche ora che i suoi figli hanno più di vent’anni, continua a ripetere loro la stessa semplice, complicatissima e dolcissima frase: “Siate bravi, siate educati, siate attenti”.