
Viaggio nella Corvetto in agosto (Ansa/Andrea Fasani)
Milano, 14 agosto 2025 – Il sole picchia ma non scaccia le ombre. Si sosta sulle panchine, sotto gli alberi. “Andate al mare, cosa fate qui?”. Si scherza, a ridosso del cavalcavia. Milano Sud.Est.
È la settimana di Ferragosto, al Corvetto. Lo “straordinario” fuori tutto dell’Upim, e pure quello ordinario dei pochi ambulanti rimasti. “Ramy”, sempre con un cuore stilizzato. È Il nome che si legge ovunque, sui muri e sulle porte serrate. In giro, tra la fermata della metropolitana e Piazzale Gabriele Rosa, si cammina a passo svelto.
“Sono anni che non vado in vacanza d’estate, ci vogliono troppi soldi”, dice Rossella Sanzina, 76 anni ma pare una ragazza. Facile incontrare qui anziani costretti in città come lei, che alle vacanze nemmeno ci pensano, perché il mare è troppo lontano e “non ho nessuno che mi ci porta”, o perché costa troppo.
Coppie che si tengono per mano (difficile capire chi sostiene chi), ma i più se ne stanno da soli. Per i fatti loro pure mentre trascinano il carrellino con la spesa, sotto la calura.

Il caldo
“A casa l’aria condizionata non ce l’ho, ma nemmeno per strada si può stare, di caldo si crepa”, dice una residente delle case popolari dell’Aler. Poi, tanti volti giovani. Da soli pure loro, abbandonati sulle panchine o agli angoli delle strade che si dispongono a raggiera intorno alla piazza.
Sono in attesa che l’estate passi come una stagione qualsiasi, sospesi nella periferia. Perché, come si diceva, “cosa fate qui?”. Difficile costruire una risposta, una linea che cammini diritta. Italiani, peruviani, cinesi, marocchini, egiziani. Poco importa, quello che conta è che “non siamo angeli, ma nemmeno diavoli: siamo umani".

“Qui ci sono persone normali”, afferma Salah Aziz. Nel quartiere ci vive da cinque anni, dice che dopotutto si sta bene, che è comunque casa sua ed è molto meglio rispetto ad altri posti che conosce. “Mi recrimino spesso di aver fatto crescere mio figlio qui”, dice, invece, un papà che abita nella zona.
Le tapparelle abbassate. Sorrisi pochi. L’intonaco con i “rappezzi” un po’ brilla, crepato dal sole. Una bandiera della Palestina, che non riesce a sventolare perché non c’è un alito di vento. A terra, bottiglie, lattine, vetri rotti. Un taglierino nascosto sul davanzale. “Bisogna saper alzare gli occhi per vedere l’orizzonte, ma pure guardare a terra per non inciampare”.

Uno dei motti di Ida Ori, che qui tutti conoscono come la “sindaca del Corvetto”. Una sonora risata la accompagna sempre, pure mentre fa strada verso la Comunità di Sant’Egidio. Qui c’è Greta Villa, una delle operatrici che accoglie i fragili della zona. “La mattina yoga, pomeriggio laboratorio di cucito e a Ferragosto l’anguriata”. Questo è il programma. “La metropoli è un porto di mare”, dice ancora Rossella. Le hanno rubato la bicicletta che era “come un’amica”.
“Questa non è una bella giornata, ma mi sono armonizzata con il disagio sociale”. Cosa volesse intendere, forse, si intuisce l’attimo dopo, quando aggiunge: “Cammino con la lama in borsa”. Poi, ridimensiona: “Però è bello, è pieno di colori, c’è il verde, è una zona multietnica”. Ida è d’accordo.
“Il Corvetto buono esiste, è un quartiere che sa essere generoso. C’è tanto volontariato e famiglie per bene. Anche quelle straniere, di cui si parla sempre male, sono spesso meglio di noi italiani”. La parrocchia di San Michele Arcangelo e Santa Rita è semivuota, fatta eccezione per due fedeli che mormorano sotto il cupolone e un signore trasandato, che fissa il vuoto. Almeno, sembra il vuoto. Si prega.
Passeggia per via Mompiani un’altra coppia di anziani. “Corso Grazia e Ferrari Antonio”. Si presentano così da 53 anni, come le note di una litania, destinate a risuonare sempre insieme. “La vita qui è difficile, è peggiorata molto. Ci sentiamo abbandonati, anche dalle forze dell’ordine”.
Divise o volanti non se ne vedono. Giancarlo Marchetti, che risiede in zona da quarant’anni, non la tira per le lunghe: “D’estate fa caldo e questo posto è il Bronx”. Qui, aggiunge “non si va in vacanza perché la gente è povera e non può permetterselo, in più non si dorme. C’è movida tutta la notte, spaccio, criminalità, degrado. Non c’è alcun presidio. Ho segnalato queste situazioni alla polizia tante volte, ma nessuno fa niente”.

Eleonora Eleonora è sola ed elegantissima, anche secondo lei “è sempre peggio, ormai c’è il coprifuoco”. La verità, spiega la “sindaca “, è che “ci sono tanti Corvetto”. Sicuramente, c’è il Corvetto di Ramy Elgaml, la sua vicenda è ancora viva nelle parole di tutti. Gino Wu nemmeno ad agosto chiude le serrande del suo bar, proprio in fondo alla strada dove viveva il ragazzo egiziano che ha perso la vita a novembre.
Gino mostra un’incisione che, con il senno di poi, sembra un presagio: “Ramy “, il graffio bianco che si legge su uno dei tavolini rotondi e neri del suo locale, accanto alle slot machine, simile alle tante scritte che costellano il quartiere. Ma, questa volta, la calligrafia è proprio quella del ragazzo: “Veniva qui spesso. E pensare che quando ho visto che aveva inciso il suo nome qua sopra mi sono pure arrabbiato”, dice il proprietario del locale. Ai tempi, lo aveva rimproverato, “ma guarda che questo sfregio non riesco più a levarlo”, gli aveva detto. Ora, “non ho il coraggio di toglierlo. Era un bravo ragazzo”, aggiunge.
Se ha ragione Ida, si capisce che questo angolo di strada fa già parte dell’altro Corvetto, quello più difficile. Wu mostra dal cellulare il video di una maxi rissa avvenuta una manciata di sere fa. “Potrei scrivere un libro, ma chi c’è l’ha il tempo”, sorride. Il caldo ricaccia tutti dentro casa. Agosto al Corvetto sarebbe un libro che si scrive da solo.