
Un momento del corteo del 6 settembre contro la chiusura del Leoncavallo
Milano – “Non è difficile immaginare che l’avviso pubblico per l’area di via San Dionigi andrà deserto anche questa volta, come già accaduto in passato. Perché risanare quell’area è una missione impossibile. Ed è tale non solo per il Leoncavallo, che è una realtà no profit, ma anche per le realtà for profit”. Così Daniele Farina conferma quello che già sembrava emergere dalla nota pubblicata nel tardo pomeriggio di martedì dagli attivisti e dalle associazioni dello Spazio Pubblico Autogestito: ad oggi si può escludere che l’area di via San Dionigi possa rappresentare una soluzione per la regolarizzazione del Leonka, che possa diventarne la nuova casa dopo lo sfratto dall’ex cartiera di via Watteau del 21 agosto scorso.
Tutti i problemi di via San Dionigi
Nella nota di martedì l’area di via San Dionigi è stata salutata come una “proposta non all’altezza della storia del Leoncavallo” e “lontana dai desiderata di quella parte di città che ha manifestato sabato”. Si rimarcava, poi, come il posto fosse “malsano, forse avvelenato” e come questo costituisse “una barriera economica estremamente rilevante per chiunque”, in grado di spiegare “i precedenti risultati di bando, andati deserti”.

Farina, una delle storiche anime del centro sociale più antico d’Italia, fa sintesi e, come detto, definisce la missione San Dionigi come una “missione impossibile”. “Sì, e per più ragioni. Abbiamo calato nel concreto le linee guida dell’avviso pubblico del Comune e, dopo un confronto tra tutti gli attivisti, siamo arrivati a questa conclusione – spiega –. C’è l’ostacolo economico, ovviamente. Solo per rimuovere l’amianto, ristrutturare il tetto e sostituire l’impianto elettrico occorrono 1,5 milioni di euro. Detto altrimenti, la soluzione più conveniente sarebbe quella di demolire tutto e ricostruire da zero, ma anche in questo caso parliamo di milioni di euro. Addirittura converrebbe di più comprare l’immobile di via Watteau. Sottolineo che abbiamo preso a riferimento i migliori prezzi offerti da operatori privati”.
“L’altro ostacolo – prosegue Farina – è ambientale: una delle aree circostanti al capannone è da tempo sotto sequestro per reati ambientali, è inquinata, questo pone quantomeno un problema di salute pubblica, se non di altri interventi di risanamento che potrebbero rivelarsi necessari”.
L’avviso pubblico del Comune prevede, però, un diritto di superficie per 90 anni con la possibilità di scontare dal canone d’affitto mensile l’importo dei lavori sostenuti: “Posto che tra 90 anni saremo tutti morti, la spesa è ingente e viene meno la possibilità di rientrare dal debito in un periodo di tempo congruo – rimarca, ancora, Farina –. Ma ripeto: l’operazione è complicata non solo per noi, ma anche per le realtà che fanno profit. Come giustamente hanno scritto i ragazzi (nella nota di martedì ndr): siamo abbastanza convinti che Manfredi Catella non parteciperà al bando neppure questa volta”.
Quale futuro per il Leoncavallo?
Da qui la domanda: quale e come sarà il futuro prossimo del Leoncavallo? Metà risposta compare nella nota già menzionata più volte: “Ora le associazioni e i collettivi transgenerazionali del Leoncavallo sono nomadi e lo saranno per un qualche tempo. Il destino è indeterminato (...) La nostra volontà è proseguire l’autunno con alcuni interventi culturali tra cui La Terra Trema, Festa della Semina e del Raccolto, attività riconosciute in Italia e Europa. Dove e come è tutto da costruire. I collettivi interni si stanno organizzando per costruire un calendario di iniziative di solidarietà per la Cassa di resistenza”.
L’altra metà della risposta ha, ad oggi, qualcosa di onirico: il ritorno in via Watteau ma stavolta con l’accordo della proprietà dell’ex cartiera, cioè dei fratelli Cabassi, magari grazie al supporto di un’opinione pubblica che riesca non solo a mettere in evidenza l’importanza delle attività storicamente condotte dal Leoncavallo tra quelle mura ma anche ad inquadrare il tema Leoncavallo nel più ampio quadro della crisi e della carenza – a Milano – di spazi davvero pubblici e aperti.
Visione onirica, come detto, almeno per ora. Un elemento concreto in questa direzione, un primo tassello, può essere rappresentato dalla decisione della Soprintendenza archivistica e bibliografica della Lombardia che, come riportato, ha avviato il procedimento per dichiarare di “interesse storico particolarmente importante” l’Archivio Fausto e Iaio, vale a dire il patrimonio cinquantennale di documenti custodito in via Watteau. La comunicazione scritta è arrivata all’associazione Mamme del Leoncavallo. “Si evidenzia il concreto rischio che il compendio Archivio Fausto e Iaio possa essere disperso o smembrato in seguito a eventuali trasferimenti del centro sociale Leoncavallo, compromettendone – vi si legge – le caratteristiche di unicità e coerenza documentaria”.