
L’interno del Leoncavallo
Milano – C’era una volta l’antagonismo milanese. O forse c’è ancora? Che i funerali un po’ affrettati sembrano utili solo alle narrazioni del potere. Specie in queste giornate di shock culturale da sgombero. Meglio quindi rilanciare. Magari mentre si ragiona su occupazioni e movimenti a Milano (ma non solo) insieme a Franz Purpura. Sguardo storico il suo. Che s’intreccia alla visione politica. Militante. Di chi è sempre stato lì quando c’era da organizzare uno spazio, proteggerlo, discuterne. Dal Leoncavallo al Bulk. Mentre oggi guida il Rob de Matt in via Butti. Comunque luogo non allineato, di inclusione sociale.

Franz, come sta l’antagonismo milanese?
“Credo che i centri sociali siano da sempre lo specchio della società che li circonda. In questo caso viviamo un orizzonte di trasformazione, un momento di passaggio e di difficoltà. Gli spazi stanno cercando di capire come continuare ad essere sé stessi senza snaturarsi o scoprirsi una specie di fotocopia antistorica del passato”.
Quindi che società siamo?
“Molto frammentata, dove si fatica a prendere voce su se stessi. Ma sono cicli. Mentre temi che in passato erano considerati quasi secondari, oggi sono fortunatamente all’ordine del giorno: dai movimenti transfemministi, alla riflessione identitaria legata ai ragazzi e alle ragazze di seconda generazione. Tutti terreni di indagine e di confronto, così come il tema del lavoro, riemerso con forza ma in maniera inedita negli ultimi tempi”.
La fuga post-pandemia?
“Esattamente. Una fuga che sembra avere i contorni ideologici delle riflessioni più estreme degli anni ’70. Ma che si risolve in un cambiamento individuale (liberarsi dall’orario 9/17), non in un mutamento sociale. Ecco, io credo che la vera scommessa per i centri sociali sarà ribadire il loro essere spazi in cui le risposte sono collettive e mai individuali, nonostante da trent’anni il mondo spinga dall’altra parte”.

Il successo ad ogni costo.
“Quel continuo messaggio che ce la puoi fare, che puoi vincere, svoltare. Mentre al contrario si demonizza chi non ce la fa, chi è ai margini, chi è fragile. I centri sociali con parte dell’associazionismo e del terzo settore ripetono invece una cosa diversa: se ce la facciamo, ce la facciamo insieme. Una differenza di senso enorme”.
Che idea si è fatto dello sgombero?
“Nasce palesemente all’interno di Fratelli d’Italia. Anzi, dentro a Msi, che fin dagli anni ’80 contesta i centri sociali e ha sempre visto il Leoncavallo come un simbolo. Ora che sono al governo è stato facile intervenire, prendendo due piccioni con una fava: colpire il Leoncavallo ha permesso infatti di mettere in difficoltà il Comune di Milano, che comunque rimane una delle realtà istituzionali che maggiormente contrasta il governo”.
Quindi Sala non ha colpe?
“Veniamo da quindici anni di centrosinistra nell’amministrazione cittadina. La responsabilità è stata quella di non trovare una soluzione in tutto questo tempo, per il Leoncavallo ma non solo. C’è stata inconcludenza”.
Ma si riconosce ancora in questa Milano?
“La città ha espulso molti suoi cittadini che non possono più permettersela. Accogliendo in cambio profili da fascia alta o bassissima, para-servili. Ma faccio fatica a immaginarmi altrove e non credo di essere l’unico. Perché comunque ci siamo nati e cresciuti, cercando ancora oggi di far parte della sua storia. C’è poi da dire che Milano ha questa continua capacità di rimettere in moto. Anche i movimenti. Spero solo che si scopra ancora in grado di attrarre risorse non economiche e di fare in modo che possano rimanere. Perché secondo alcuni la città dovrebbe essere più che altro attraversata da users”.
Utilizzatori e non cittadini.
“Già. A qualcuno va bene così. A me no”.
Il Leoncavallo può diventare una scintilla?
“È quello che sta succedendo. La portata del suo valore simbolico può contribuire a mettere in azione altro, partendo dalla riflessione su quali siano oggi gli spazi delle decisioni. Tanti cittadini stanno chiedendo di decidere. E in tanti si stanno riunendo intorno a quello che sta succedendo. Anche chi come me ha fatto un passo indietro, al di là della vicinanza politica. Quella cittadinanza attiva, con molti ex-militanti, rimane parte fondamentale di una certa sensibilità su cui si sta tornando a discutere”.