Milano, 12 maggio 2025 – Avrebbe pianificato di uccidere prima Chamila Wijesuriya, la barista 50enne dell'hotel Berna di Milano, e poi il collega Hani Nasr, che si è difeso ed è sopravvissuto, Emanuele De Maria, il detenuto evaso da Bollate che si è ammazzato ieri gettandosi dalle Terrazze del Duomo. È l'ipotesi del pm di Milano Francesco De Tommasi nell'inchiesta sulla tragedia in cui la donna è morta, accoltellata alla gola. Il pubblico ministero ha disposto le autopsie anche per accertare se l'uomo, autore di un omicidio e di un tentato omicidio premeditati, avesse assunto sostanze stupefacenti.

Le indagini, coordinate dal pm De Tommasi e affidate a Polizia e Carabinieri, stanno ricostruendo i movimenti di De Maria nelle 48 ore precedenti al suo suicidio per capire dove è stato durante le notti di venerdì e sabato e se qualcuno, ignaro del suo piano omicida, gli abbia dato ospitalità. Gli accertamenti stanno cercando di appurare cosa abbia fatto negli orari in cui è sparito dai monitor delle telecamere e dalle celle telefoniche. Al momento si sa che ha spento il cellulare e ha chiamato la madre e la cognata con il telefono di Chamila - che poi ha gettato in un cestino in via Bignami - per chiedere “perdono” e spiegando loro di aver fatto una “ca**ata”.
Dopo le 17 di venerdì, quando è stato ripreso sulle scale della metropolitana, di lui si sono perse le tracce fino alla mattina dopo, quando alle 6.17 è arrivato all'Hotel Berna e ha tentato di uccidere il collega. Poi è sparito di nuovo, fino a quando ieri poco prima delle 14 si è gettato dalla terrazza del Duomo, dove era salito come un normale turista pagando il biglietto e senza essere riconosciuto in quanto i controlli riguardano armi, esplosivi o altro, e non l'identità delle persone. Hani Nasra, il collega che è sopravvissuto, è già stato sentito da inquirenti e investigatori, e ha spiegato di aver messo in guardia la 50enne, consigliandole di interrompere la relazione in quanto il 35enne aveva una condanna definitiva per aver accoltellato a morte, nel 2016, un'altra donna.
Furia omicida 9 anni dopo
De Maria si trovava in carcere perché stava scontando una pena alla quale era stato condannato perché ritenuto colpevole della morte di una ventitreenne tunisina a Castel Volturno nel 2016. Ma non potrà mai spiegare cosa abbia innescato per la seconda volta in nove anni la furia omicida, rinunciando nella maniera più tragica alla seconda occasione che gli era stata data un anno e mezzo fa. Sì, perché il 29 novembre 2023 era stato ammesso al lavoro esterno nella struttura ricettiva a due passi dalla Stazione Centrale.

Il lavoro esterno
Poco meno di un anno dopo, dal penitenziario di Bollate – che gestisce circa 200 reclusi nelle stesse condizioni e 40 in semilibertà – era arrivato l’ok alla proposta dei vertici dell’albergo di trasformare il rapporto professionale con De Maria in un contratto full time a tempo indeterminato. Nel documento che ha autorizzato la modifica, si legge nelle premesse che la decisione è stata motivata dalle “attuali risultanze dell’attività di osservazione della personalità” del trentacinquenne, dall’ambiente “particolarmente adatto al soggetto” e dal fatto che il detenuto “ha dato prova di affidabilità e che la proposta lavorativa pare adatta alla prosecuzione del percorso trattamentale in atto”.
“Dipendente-modello”
Tradotto: De Maria si è sempre comportato da dipendente-modello. Tanto che, non più tardi di sei mesi fa, la sua storia è stata raccontata dalla trasmissione tv “Confessione Reporter” come esempio virtuoso di reinserimento nella società, in vista del fine pena fissato al 26 gennaio 2031.
“Il lavoro che svolgo non oserei neanche definirlo come un lavoro, tanto lo faccio con passione”, aveva detto il diretto interessato davanti alle telecamere, parlando del primo periodo “da dimenticato” in una cella di Secondigliano e del totale cambiamento di prospettiva generato dal trasferimento a Bollate, luogo che “dà fiducia e autostima”. Tutto cancellato in 48 ore. Dal femminicidio di Chamila al tentato omicidio del collega e al suicidio in Duomo.
Il caso al vaglio del ministero della Giustizia
Il caso di Emanuele De Maria e del suo permesso di lavorare all'esterno del carcere è al vaglio del ministero della Giustizia. A sollecitare un intervento era stata innanzitutto Forza Italia che per bocca del capogruppo in Senato, Maurizio Gasparri, aveva incalzato il ministro della Giustizia, Carlo Nordio: “Con una interrogazione al ministro Nordio chiedo un'ispezione sulle strutture giudiziarie che sono responsabili dei permessi concessi a Emanuele De Maria, il 35enne napoletano che si è suicidato a Milano in mezzo alla folla dopo aver compiuto ulteriori delitti”.
L’avvocato: “Meritava il permesso di lavorare fuori”
Secondo l’avvocato Daniele Tropea, legale di De Maria contattato dall’Ansa, il suo assistito invece “meritava il permesso di lavorare fuori visto l'ottimo percorso che aveva fatto all'interno del carcere”. “La sua posizione era stata valutata dall'area educativa del carcere di Bollate e dal magistrato di Sorveglianza di Milano - ha aggiunto Tropea - non mi sarei mai aspettato nulla di quanto accaduto e nemmeno che De Maria potesse trasgredire le regole”.
Il sindaco Sala: “Difficile spiegare ai cittadini perché era fuori”
“Capisco lo sgomento, perché indubbiamente è una cosa che è difficile da spiegare ai cittadini di come, dopo un omicidio, la condanna sia di 14 anni e dopo non molti anni il condannato possa uscire”. Cosi il sindaco di Milano Giuseppe Sala ha parlato del caso di Emanuele De Maria, il detenuto ammesso al lavoro esterno che dopo le aggressioni si è ucciso gettandosi dalla terrazza del Duomo. “Sono le leggi però per cui - ha aggiunto a margine della 24esima esposizione internazionale della Triennale di Milano - non saprei neanche che commento fare. Certamente è una faccenda molto cruenta”.