REDAZIONE MILANO

Emanuele De Maria, intervistato in tv sulla sua esperienza in hotel: cosa diceva dei colleghi

Il trentacinquenne ricercato per le coltellate a un altro dipendente del Berna, un paio di mesi fa ha raccontato la sua vicenda in una trasmissione di approfondimento. È stato ammesso al lavoro esterno mentre sconta la pena per un omicidio commesso nel 2016

Polizia nel luogo dove è avvenuto l'aggressione, a destra, Emanuele De Maria

Polizia nel luogo dove è avvenuto l'aggressione, a destra, Emanuele De Maria

Milano, 10 maggio 2025 – L’aspetto professionale, il completo giacca e cravatta, l’accoglienza in inglese della clientela. Dottor Jekyll e Mister Hyde. Così appariva, pochi mesi fa, in televisione Emanuele De Maria, il trentacinquenne detenuto nel carcere di Bollate per l’omicidio di una prostituta tunisina, ricercato per aver accoltellato un collega davanti all’hotel Berna. Il giovane, napoletano d’origine, è impiegato nell’albergo come receptionist da poco meno di due anni, ammesso al lavoro esterno mentre sta scontando una pena di quindici anni per il delitto, avvenuto nel gennaio 2016.

De Maria fu intervistato dal programma Mediaset “Confessione Reporter”, in una puntata in cui raccontava la sua esperienza all’interno della struttura ricettiva in zona stazione centrale. Un’opportunità che gli è stata garantita – almeno fino a oggi – per cercare di favorirne, in ottica futura, la reintegrazione nella società.

L’avventura al Berna sembrava andare bene, almeno ad ascoltare le parole di De Maria rilasciate davanti a una telecamera. Sembrava, appunto. Perché a rileggerle alla luce di quanto è sospettato di aver commesso, oggi, fanno accapponare la pelle. 

L’intervista

Il lavoro all'hotel Berna di via Napo Torriani a Milano, diceva De Maria, "sta andando molto bene, mi sento molto accettato da parte di tutti i miei colleghi. C'è un feeling molto positivo tra di noi". Così iniziava l’intervista del trentacinquenne, fuggitivo dopo aver sferrato alcune coltellate a un collega, un egiziano di 50 anni, forse dopo una lite (anche se va chiarito se la scomparsa di un’altra dipendente dell’hotel, una cinquantenne srilankese, ha qualcosa a che fare con l’aggressione di questa mattina). 

"Il lavoro che svolgo io non oserei neanche definirlo come un lavoro, tanto lo faccio con passione", raccontava De Maria, parlando nella hall dell’hotel. Nel servizio il trentacinquenne viene ripreso mentre accoglie clienti alla reception, parlando in inglese.

"Stare a contatto diretto con i clienti di culture, usanze, costumi e religioni diverse mi rende libero, dà anche un senso alla mia quotidianità, perché senti di fare la differenza nel tuo piccolo", diceva il 35enne.

La speranza

Nell'intervista De Maria parlava della sua condanna per omicidio volontario e della sua esperienza in carcere. "Sono a Bollate da tre anni e per la fine pena mancano ancora sei anni e mezzo", diceva, raccontando di "un percorso abbastanza travagliato perché sono stato detenuto presso la struttura di Napoli Secondigliano, dove il regime carcerario è molto diverso, vieni gettato facilmente in una cella sovraffollata e vieni un po' dimenticato lì”.

Bollate, chiudeva De Maria, “è un istituto penitenziario dove secondo me la dignità umana viene ripristinata completamente. Quindi Bollate dà reinserimento, dà fiducia, ti dà anche l'autostima che comunque accarezza notevolmente anche l'anima, è fondamentale". Parole, insomma, che denotavano una certa consapevolezza, nonché una fiducia nel percorso di “ritorno” alla società. Qualcosa, però, questa mattina, nella mente di De Maria, si è spento. Ora è solo, braccato, probabilmente intento a chiedersi cosa gli sia mai passato per la mente quando ha impugnato il coltello per ferire il collega.