
Giulia Ligresti e lo skyline di Porta Nuova visto dal terrazzo all'ultimo piano della Torre Velasca appena restaurata
Milano – Giulia Ligresti, secondogenita dell’ex immobiliarista e finanziere in campo assicurativo Salvatore, guarda con dispiacere allo scandalo urbanistico che sta facendo tremare Milano. Lei che, sulle orme del padre, è stata negli anni fra i protagonisti della trasformazione della città che oggi si fregia di una vocazione europea. La mente corre a luglio del 2013, quando cominciò il suo calvario, durato sei anni, finito con l’assoluzione nel 2019.
A distanza di 12 anni, ora Milano è travolta dall’inchiesta urbanistica. Che effetto le fa assistere all’ennesimo scandalo?
“Sono dispiaciuta e anche preoccupata. Milano non può permettersi battute d’arresto. Ogni volta che la città viene travolta da un’inchiesta, si blocca un’energia, si disperde una fiducia. E questo accade sempre in un momento in cui invece ci sarebbe bisogno di visione, ordine e continuità”.
È un destino che a cicli di qualche anno la città affronti fasi come questa, coinvolgendo spesso grandi progetti e il settore delle costruzioni?
“Sembra quasi un copione che si ripete. Ma non è il destino, è un sistema che va ripensato. I grandi progetti sono fondamentali per la crescita di una città, ma devono poggiare su regole chiare, controlli seri e una cultura della responsabilità che coinvolga tutti: pubblico, privato e cittadinanza”.
Cosa pensa del modello di sviluppo cittadino degli ultimi anni? È vero, come dice lo scrittore Alessandro Robecchi, che la città si è occupata solo dei ricchi, come un ospedale per solventi?
“Milano è cambiata e, sotto molti aspetti, è diventata più internazionale, più attrattiva. Ma è vero anche che questa corsa in avanti ha lasciato indietro una parte della città. L’abitare è diventato inaccessibile per molti, e la sensazione di esclusione cresce. Milano non può diventare una vetrina solo per chi può permettersela. Deve ritrovare un equilibrio, ridando dignità ai quartieri, agli spazi comuni, alle persone”.
Lei ha conosciuto la durezza del carcere e lo ha raccontato in un libro. Cosa resta di quella stagione?
“Resta tutto. È un’esperienza che mi ha resa più forte. E resta soprattutto la consapevolezza di quanto sia fragile la giustizia, di quanto poco basti per essere travolti. Ma resta anche la forza delle donne incontrate, dei legami nati in un contesto così duro. Quel dolore non è stato inutile se oggi mi rende più attenta, più vera e più determinata a non girare la faccia dall’altra parte”.
Assolta nel 2019. Innocente dopo sei anni con il “marchio da colpevole”. Chi le è stato vicino in quei momenti bui? Dove trovava la forza?
“Chi resta davvero accanto in quei momenti dimostra coraggio, lealtà e amicizia, e sono presenze che valgono quanto una vita intera. La forza la trovi nella ricerca della verità. La trovi nei tuoi figli, in chi crede in te, e anche nel silenzio, dove impari a distinguere ciò che vale da ciò che è solo rumore”.
Le indagini dei pm ora sono partite da esposti di comitati cittadini. Segno che per il futuro debba esserci più ascolto dal basso?
“Assolutamente sì. I cittadini hanno occhi e voce. E quando non vengono ascoltati si genera sfiducia, disaffezione, oppure rabbia. La città va progettata con chi la vive ogni giorno, non imposta dall’alto. L’ascolto non è una concessione, è un dovere istituzionale. E oggi, più che mai, serve costruire un nuovo patto tra amministrazione e cittadini”.
Le relazioni fra politica e mondo economico sono spesso state l’origine di guai giudiziari per la città. Cosa c’è di sbagliato e cosa da salvare?
“Il problema non è il dialogo tra pubblico e privato, anzi: è necessario. Il problema nasce quando il confine tra collaborazione e complicità si confonde. Quello che va salvato è il coraggio di fare sistema, di costruire insieme. Ma su basi trasparenti, con regole certe e ruoli chiari. La fiducia non si può imporre: si conquista con l’esempio”.
Oggi si occupa di design e di progetti solidali lontano da Milano. Cosa è per lei la città e come pensa uscirà da questa tempesta?
“Milano resta la mia città, il mio punto di partenza, la mia radice. E continuo ad amarla profondamente. Ma oggi la sento stanca, frammentata, un po’ distante da sé stessa. Uscirà da questa tempesta se saprà fermarsi, ascoltare e ripensarsi con umiltà. Se tornerà a essere una città che mette al centro le persone . Io ci credo ancora”.