
Najma con la tesi in mano, abbracciata dalla sorella Nargis e dalla sua amica Valeria dopo la discussione (Salmoirago)
Studiava lingue straniere a Kabul, le mancava un anno al diploma quando è dovuta fuggire dall’Afghanistan: Najma Yawari, 27 anni, a Milano ha ripreso in mano i suoi studi - e la sua vita - e si è appena laureata in Interpretariato e comunicazione all’università Iulm, con una tesi sulla ricezione della letteratura persiana in Italia.
Dove ha inizio questa storia?
«Sono nata e cresciuta a Kabul, ho studiato lì fino al 2018, quando sono scappata dal mio Paese con mia mamma e i miei fratelli. Sono di etnia Hazara, un’etnia perseguitata da sempre. La situazione già non era semplice, mia mamma ha dovuto lottare tanto per permettere a me e a mia sorella di studiare. Per motivi familiari siamo stati costretti a fuggire all’improvviso: era l’unica opzione per noi».
Qual è stata la rotta?
«Abbiamo seguito lo stesso percorso che hanno fatto tantissimi profughi e rifugiati, passando attraverso l’Iran, la Turchia e da lì arrivando in Grecia. Un percorso durato quasi un anno: per riuscire ad attraversare ogni confine abbiamo tentato più volte. Siamo approdati finalmente in Grecia solo dopo averci provato e riprovato cinque volte, con la barca».
E una volta arrivati lì, cos’è successo?
«Siamo arrivati nel mese di giugno del 2019 e siamo rimasti in Grecia per due anni, passando da un campo profughi all’altro, senza avere accesso ad alcun servizio. Poi è scoppiata pure la pandemia ed è stato tutto ancora più difficile».
Quando e come siete arrivati in Italia?
«Il 17 maggio del 2021, grazie ai corridoi umanitari della Comunità di Sant’Egidio. Tre mesi dopo è caduto il governo e sono tornati i talebani in Afghanistan e la situazione nel mio Paese è andata peggiorando sempre più. Per fortuna non solo sola. Sono qui con mia mamma, mia sorella e mio fratello».
E ha ripreso in mano la sua vita e i suoi studi.
«Sì. Per tre anni avevo studiato Lingue straniere nel mio Paese: studiavo spagnolo, non italiano. Da noi l’università dura quattro anni, non sono riuscita a laurearmi. Appena sono arrivata qui ho cominciato a studiare la lingua italiana e a lavorare per dare una mano alla mia famiglia e anche per me stessa. Poi la Comunità di Sant’Egidio mi ha messo in contatto con l’università Iulm e ho scoperto questa possibilità: ho scelto Interpretariato e comunicazione perché è un corso di laurea vicino a quello che avevo seguito nel mio Paese e ho ricominciato dal primo anno, studiando inglese, italiano e spagnolo».
E intanto lavora.
«Sì, ho sempre lavorato part-time mentre studiavo: per me ha significato un ritorno alla normalità, al periodo prima della fuga, prima del viaggio da un Paese all’altro. Sto collaborando con una fondazione privata, mi occupo dell’accoglienza. E ho potuto seguire i laboratori linguistici e le lezioni con frequenza obbligatoria».
Dove vede il suo futuro?
«Qui, dopo la laurea abbiamo deciso di rimanere in Italia. Siamo a Milano da quattro anni, abbiamo deciso di costruire il nostro futuro in città. Siamo stufi di passare da un Paese all’altro, di iniziare sempre daccapo, di dover ricominciare imparando un’altra lingua. Non possiamo mai dare nulla per scontato né prevedere il futuro, ma vorrei costruirlo a Milano. Mi trovo bene: mia sorella sta studiando, mio fratello lavora. Abitiamo insieme in una casa in affitto».
Cosa le piace di più della città?
«Il fatto che sia una città multietnica e multinazionale: quando sei fuori e ti fai un giro non ti senti mai straniera. Senti di appartenere a questa società. Vedi volti di colore diverso, senti accenti differenti: non sei più tu ad avere tratti somatici particolari o a parlare una lingua diversa, è la colonna sonora stessa della città. Ed è meravigliosa».
In cosa dovrebbe migliorare?
«Magari sui costi degli affitti, ma credo che siano un ostacolo da superare non solo a Milano».
Cosa farà adesso?
«Vorrei proseguire gli studi, ho già adocchiato un indirizzo che potrebbe fare al caso mio. Ma prima mi prendo un anno per lavorare e concentrarsi sulla lingua italiana, per affinarla».
A chi dedica questa laurea?
«A mia mamma. Sono qui grazie ai sacrifici che ha fatto. La mia famiglia paterna non era d’accordo che studiassi, essendo una ragazza. Mia mamma ha lottato molto per far studiare anche me e mia sorella. Come avrebbe voluto fare lei, che invece ha dovuto fermarsi alle elementari. Ha sempre sognato che i suoi figli studiassero e fossero indipendenti, che scegliessero da soli la loro vita. Questa laurea e questo traguardo sono per lei».