MASSIMILIANO MINGOIA e NICOLA PALMA
Cronaca

Il rebus del Leoncavallo, bando comunale congelato. E lo sgombero si avvicina

Delibera attesa il 17 luglio, ma il giorno prima è scoppiato il caso Urbanistica. Il 9 settembre nuovo avviso di sfratto, che stavolta potrebbe essere eseguito

I murales lungo i muri del centro sociale Leoncavallo di via Watteau, occupato abusivamente dal 1995

I murales lungo i muri del centro sociale Leoncavallo di via Watteau, occupato abusivamente dal 1995

Milano – La strada che porta alla soluzione del caso Leoncavallo si sta facendo sempre più stretta. Anzi, col passare dei giorni sta prendendo le sembianze di un vicolo cieco. Con lo sgombero ormai alle porte, difficilmente rinviabile dopo la vittoria in Tribunale dei Cabassi costata al Ministero dell’Interno un bonifico da 3 milioni di euro proprio per il mancato sfratto del centro sociale abusivo. Quando dodici giorni fa l’ufficiale giudiziario si è presentato per la centotrentatreesima volta in via Watteau per notificare l’ordine di rilascio dell’ex cartiera occupata dall’8 settembre 1995, ha dovuto prendere atto dell’assenza della forza pubblica e riprogrammare le operazioni al 9 settembre.

Con ogni probabilità, si è trattato dell’ultimo di una serie infinita di rinvii che prosegue ininterrotta dall’11 marzo 2005: la sensazione è che la prossima volta, se non addirittura in una data precedente, andrà in scena lo sgombero, con tempistiche che in ogni caso non guardano oltre la fine dell’estate. A proposito di tempistiche, quelle che hanno caratterizzato gli ultimi giorni si sono rivelate non proprio fortunate per il Leonka. Da mesi, infatti, è in campo la possibile soluzione per la regolarizzazione: uno spazio in disuso in via San Dionigi 117 come futura sede del centro sociale. Uno spazio che presenta diverse criticità, a cominciare dalla copertura in amianto da bonificare e dai relativi costi di messa in sicurezza tutt’altro che contenuti (si parla di almeno 400mila euro). Il dialogo tra Comune e le "Mamme antifasciste del Leoncavallo" è andato avanti sottotraccia per settimane. Il 18 marzo l’associazione ha compiuto il passo formale, con l’invio della lettera di manifestazione d’interesse. Un passo a cui avrebbe dovuto seguirne un altro, "entro l’estate": la pubblicazione del bando per l’affidamento dell’area in zona Porto di Mare.

C’era pure una data già segnata da molti sul calendario per l’approdo in Giunta della questione: giovedì 17 luglio. Il giorno prima, però, è arrivato il terremoto Urbanistica a scuotere le fondamenta di piazza Scala: richiesta d’arresto ai domiciliari per l’assessore Giancarlo Tancredi (che si è dimesso cinque giorni dopo) e coinvolgimento da indagato del sindaco Giuseppe Sala. Inutile dire che l’affaire Leonka è comprensibilmente sparito dai radar dell’esecutivo, alle prese con le conseguenze giudiziarie e politiche dell’inchiesta della Procura. Tradotto: nessuna traccia dell’avviso pubblico per via San Dionigi. Arriverà? Al momento, non ci sono certezze. Il tema è divisivo anziché no, la premessa d’obbligo che fa pensare che la partita, già delicata in partenza, rischi di finire in stand by in un momento complicatissimo per chi governa la città e per gli equilibri interni da ricostruire. Con una conseguenza immediata e intuibile: se prima l’obiettivo di gestire in maniera quasi contestuale la doppia operazione di sfratto da Greco e trasloco a Porto di Mare poteva essere ragionevolmente raggiunto, ora lo scenario più plausibile disegna due binari paralleli.

Detto altrimenti: lo sgombero potrebbe arrivare ben prima che si sia trovata una soluzione alternativa, con tutte le incognite legate anche a eventuali problemi di ordine pubblico (sebbene il Leoncavallo non ne crei da decenni). D’altro canto, l’accelerazione dettata dalla sentenza della Corte d’appello datata 9 ottobre 2024 non lascia molti margini di manovra. La sconfitta in aula sul mancato sgombero dal 2005 in avanti è costata carissima alle casse pubbliche, visto che la mancata impugnazione in Cassazione (caldamente sconsigliata dall’Avvocatura dello Stato per le quasi nulle possibilità di ribaltone) ha costretto il Governo a pagare 3,039 milioni alla società "L’Orologio" della famiglia Cabassi. Soldi che ora il Ministero ha chiesto alla presidente dell’associazione Marina Boer. A più di nove mesi dal verdetto del Tribunale civile, il tempo è (quasi) scaduto.