
Domenica 7 settembre in piazza San Pietro la cerimonia durante la quale Carlo Acutis sarà proclamato santo
Milano – Carlo Acutis era ricoverato all’ospedale San Gerardo di Monza. Era gravissimo. “Aveva bisogno di un’attenzione e di un’intensità di cure costanti”: Claudia Negri, referente infermieristica dell’Ematologia pediatrica, era lì, al fianco di quel ragazzo milanese che è morto a soli 15 anni e che - tra quattro giorni - diventerà santo.
Sono passati vent’anni: cosa ricorda di Carlo?
“Ogni anno assistiamo centinaia di pazienti, da zero a 18 anni. E anche oltre, se sono già stati in cura qui. Ma Carlo lo ricordo bene - anche se è stato con noi solo tre giorni - perché era arrivato in una condizione acuta che richiedeva un’assistenza particolare. Per la leucemia di cui era affetto era esposto a un rischio emorragico e trombotico. Una situazione che poteva portare a un esito infausto”.
Com’è successo il 12 ottobre del 2006.
“Sì. E in quei giorni non avrei mai immaginato quello che sarebbe successo dopo. Scoprire questa grandezza ti fa tremare le gambe. Non abbiamo avuto segnali in quel momento, ma posso dire come ho vissuto io Carlo, come paziente”.
Che paziente è stato?
“Un ragazzo normale, come tanti altri ragazzi che devono affrontare una situazione molto difficile da tutti i punti di vista. La nostra assistenza era continuativa: andavamo frequentemente da Carlo, eravamo accanto a lui perché aveva necessità di diverse manovre assistenziali, della somministrazione di farmaci, della rilevazione dei parametri. Carlo non ha mai reagito in maniera oppositiva a questi trattamenti. Era molto collaborativo e tranquillo a differenza di altri coetanei nella stessa situazione. Non ricordo di averlo visto piangere. È vero che a quell’età è difficile farsi vedere piangere, ma spesso lo si fa. Ricordo bene Carlo perché sono quei casi che ti restano in mente nella vita professionale: il coma, l’intubazione in reparto”.
La sua storia però non è finita in quella corsia.
“A distanza di anni lo abbiamo saputo. E ho riletto un po’ il suo atteggiamento: ricordando la sua collaborazione ho ripensato alle frasi che sono emerse sul fatto che lui fosse consapevole di tutto e alla sua dedizione all’Eucaristia. Probabilmente già in quei giorni Carlo sapeva e si immaginava quello che sarebbe successo, accettava questo percorso in previsione di un futuro molto più grande”.
Questa storia ha “segnato“ il suo lavoro?
“Mi è capitato anche in situazioni successive molto difficili, con esito infausto, e in alcuni momenti di pensare a Carlo. Di percepire la sua presenza”.
I pazienti di oggi le chiedono di Carlo?
“Sapere che Carlo è stato un nostro paziente dà forza spesso ai genitori che devono andare incontro a un percorso anche molto lungo. Io sono molto riservata, non pubblicizzo il nostro incontro, ma una mamma due o tre settimane fa mi ha fermato: “Posso chiederti una cosa? È vero che tu hai conosciuto Carlo?“. Le ho risposto “Sì“. Non ha chiesto più niente. Ma vedevo l’emozione nei suoi occhi, mi ha commosso”.