
Il corpo di Mihai Brotac, 24enne di nazionalità romena, recuperato domenica dal Po
Colico (Lecco) – Mamma Patrizia ha perso il suo Claudio. È morto annegato nel lago di Como al largo della spiaggia di Colico dopo essere stato sospinto dal vento su un gonfiabile lontano da riva. Era il 12 luglio 2007, un giovedì, e l’orologio segnava le 16.40. Claudio aveva 15 anni. Da quel momento la missione di Patrizia Gobbi è impedire che ai figli di altre mamme succeda lo stesso: nel 2008 a Delebio, dove abita, ha fondato l’associazione Amici di Claudio, reclutando bagnini certificati per il salvataggio in acque libere che ogni fine settimana d’estate presidiano le acque del lago a Colico.
Ogni volta che qualcuno muore annegato per lei è come un dejavu, un ritorno alle 16.40 di quel giovedì rovente di 18 anni fa. E mai come oggi il pensiero corre a quel giorno: in una manciata di ore nei fiumi lombardi sono annegati 5 giovanissimi e un sesto è finito al San Matteo di Pavia (ma ieri è stato dichiarato fuori pericolo). L’ultima vittima di un weekend di Ferragosto tragico è Mihai Brotac, 24enne di nazionalità romena, residente a Santa Maria della Versa (Pavia): è finito in acqua domenica al Ponte della Becca, alla confluenza del Ticino nel Po, ed è stato trascinato dalla corrente.
“Quando apprendo la notizia di un giovane, un ragazzo, un bambino che muore annegato, è come se il mio Claudio annegasse di nuovo – spiega mentre gli si incrina la voce –. E poi sono tormentata dal dubbio su come sia possibile che dopo tutto questo tempo, i consigli degli esperti, le campagne di sensibilizzazione, le ordinanze e i cartelli di divieto, possa succedere ancora”.
L’unica risposta che riesce a darsi è che agiamo pensando di essere invulnerabili: “Ci illudiamo che i nostri figli non possono morire così. Non so perché, ma crediamo di essere più fortunati degli altri e che in un modo o nell’altro ci sarà sempre un lieto fine, perché siamo più forti e più bravi a nuotare di chi non è riemerso, o che qualcuno ci verrà a salvare in tempo o ancora che in fondo l’acqua non è pericolosa come ci dicono. Invece non è così. Vale per il lago, i fiumi, il mare, ma anche la montagna o la strada. Forse più che di sicurezza e di prevenzione, è un problema di educazione”.
Eppure i cartelli di divieto di balneazione nelle zone pericolose ci sono, sono scritti in più lingue affinché tutti possano leggerli e in alcuni punti ci sono persino transenne. Eppure non basta. Anzi, peggio: “Quando noi, come i volontari e i soccorritori di tante altre realtà, richiamiamo all’ordine chi non rispetta le indicazioni, spesso veniamo ignorati, a volte insultati, soprattutto dai ragazzi più giovani”, racconta mamma Patrizia, che così in alcuni momenti, come in questi giorni, finisce per pensare che quello che fa da anni non serva a molto. Malgrado sia palese il contrario: di persone salvate dagli Amici di Claudio se ne contano parecchie dal 2007 a oggi, e ogni estate in diversi devono a lei e ai ’suoi’ bagnini la vita, per non parlare delle attività di prevenzione instancabile che produce effetti impalpabili ma duraturi.
“Servono più soccorritori a riva per presidiare le spiagge di lago e di fiume, almeno per i punti più frequentati e pericolosi che ormai si conoscono perché gli incidenti succedono quasi sempre negli stessi luoghi – torna alla carica –. E ci vorrebbero pure più soccorritori su imbarcazioni in acqua. Serve soprattutto un coordinamento migliore tra i rappresentanti di tutti gli enti e paesi che si affacciano su bacini e corsi d’acqua per elaborare insieme strategie, iniziative e regole comuni sempre più efficaci. Di certo non possiamo rassegnarci”.