
Il mistero dell’ultraleggero precipitato a Brescia, dall’assenza di scatola nera all’ipotesi dello “stallo a vite”: cosa sappiamo
Quando i soccorsi arrivano sul posto, dell’ultraleggero non resta molto: pochi detriti carbonizzati, soltanto una lastra che si è staccata nello schianto conserva il colore verde del velivolo. A pochi metri dalle lamiere, stesa sull’asfalto, c’è la vela di un paracadute. Verrà considerato un possibile indizio di un tentativo estremo di salvataggio da parte di Ravaglia e De Stefano.
Un testimone ha raccontato di aver visto il velivolo prima volare stabilmente, poi perdere quota all’improvviso e cadere quasi in picchiata avvitando su se stesso. Non è escluso, quindi, che il abbia cercato di compiere un atterraggio di fortuna sulla strada. A stabilire la dinamica saranno le indagini della Procura di Brescia, che si è affidata alla Polizia dell’aria di Milano.
A seguire l’inchiesta è il pubblico ministero Giovanni Tedeschi: l’ipotesi di reato è omicidio colposo, al momento è a carico di ignoti. Il magistrato spera di ricostruire la causa dello schianto del Promecc Aerospace Freccia RG, il modello del velivolo in carbonio di proprietà di Ravaglia.
Gli ultraleggeri, per lo più, volano a bassa quota – difficilmente oltre i 330 metri, pari a circa 1000 piedi – muovendosi all’interno dello spazio aereo di classe G. Si tratta di una fascia non controllata, dove non interviene il traffico aereo: qui è il pilota a doversi occupare direttamente della propria sicurezza e a garantire la distanza dagli altri velivoli.