
Dieci anni fa le riportò alla vita assieme a un botanico consultando un antico catalogo e quadri del Settecento. L’impegno: non abbandono questa grande passione, continuerò a occuparmi della collezione.
Il legame di Monza con gli agrumi è antico e comincia il 15 ottobre 1791, quando l’arciduca Ferdinando, governatore di Milano, decide di fare due doni speciali alla moglie Maria Beatrice d’Este per il loro 20esimo anniversario di matrimonio. L’arciduca regala alla consorte la cosiddetta Rotonda dell’Appiani e una limonaia, oggi conosciuta come il Serrone, che prolunga l’ala nord della reggia. Le piante di agrumi trovarono il loro posto proprio qui, all’interno della limonaia, già pochi anni più tardi; mentre all’esterno venne realizzato il giardino degli aranci, nell’area a sinistra dell’avancorte, prima di diventare l’attuale roseto Niso Fumagalli. È l’Orangerie, nome recuperato qualche anno fa per definire l’area del Serrone della Villa Reale, oggi adibita a ospitare mostre, ma che a partire dai primi dell’800 divenne un particolare giardino botanico dedicato alla coltivazione di numerose varietà di agrumi. Si arrivò a 50 varietà con diverse piante, agrumi tanto rari e particolari per cui vennero redatti negli anni dei cataloghi: come quelli citati nell’edizione più completa, quella del 1925, curata dal botanico Giovanni Battista Rossi, direttore dei regi giardini e vivai di Monza: il “Catalogus plantarum horti regii modoetiensis“. Dentro si trovavano alcune delle specie di agrumi più antiche, di cui si aveva testimonianza perché raffigurate in dipinti di inizio ‘700, ma anche quello che oggi è il comune mandarino ma che allora proveniva dalla Cina e fu coltivato per la prima volta in Italia nell’Orto Botanico di Palermo nel 1790, pochi anni prima che arrivasse anche a Monza.
La collezione dell’arciduca di fatto era stata avviata facendo arrivare 40 piante di limone da Nervi, dopo un viaggio avventuroso su carri scortati da guardie armate, considerato he gli agrumi all’epoca erano considerati un lusso riservato a teste coronate e nobiltà. Ad accoglierli, a Monza, la grande “citroneria“ fatta costruire al Parco della Reggia di Monza, su progetto curato dall’archistar dell’epoca, il grande architetto neoclasico Giuseppe Piermarini.
"Per regalare a sua moglie quell’agrumeto - ricorda Davide Chiaravalli - l’arciduca organizzò una festa bellissima, elegante, con un’orchestra che suonava musica di Mozart, una festa spettacolare. Gli agrumi sono eccezionali e hanno tante virtù, ti fanno conoscere la storia, dai Fenici, fra i primi a coltivarli, fino ai giorni nostri".
Non a caso il progetto di recupero dell’agrumeto della Villa Reale è stato portato avanti una decina di anni fa proprio dalla Floricoltura Chiaravalli e dal botanico e citrologo monzese Diego Pessina e supportato da associazioni come il Soroptimist International di Monza, che promuovono tuttora visite guidate e percorsi didattici per il pubblico.
"Le piante sono concepite spesso come elemento di arredo per nascondere una proprietà e per separare - riflette Davide Chiaravalli -, gli agrumi no: al 90% invece sono acquistati per motivi opposti, perché sono belli e profumati oltre che commestibili. Certo sono difficili da curare e impegnativi".
Davide Chiaravalli ne sa qualcosda. Ed elenca ad esempio una per una tutte le limonaie un tempo presenti e spesso dimenticare in città. "Una volta in certe antiche residenze si camminava sotto gallerie di agrumi riscaldati d’inverno dai bracieri, i visitatori ne erano incantati".
Da.Cr.