
All’origine delle misure c’è la necessità di non incorrere in nuove procedure di infrazione da parte della Commissione Europea
Milano – Cinque “ambiti di intervento”, ciascuno declinato in una serie di “azioni” e per ciascuna azione ecco indicata l’istituzione chiamata a fare da “referente” e quella o quelle chiamate a fare da “soggetto o soggetti attuatori”. Il finanziamento complessivo è di 2,4 miliardi di euro, ma in diversi casi non si tratta di soldi freschi ma di soldi già stanziati negli scorsi anni a sostegno di misure che ora sono state ricomprese in questo nuovo provvedimento. Il riferimento è al “Piano d’azione per il miglioramento della qualità dell’aria“ licenziato dal Consiglio dei ministri il 20 giugno, pubblicato ad inizio agosto e ora impugnato in Corte Costituzionale da tre grandi Regioni del Nord: la Lombardia presieduta dal leghista Attilio Fontana, il Piemonte presieduto dal forzista Alberto Cirio e (presto) il Veneto presieduto da un altro leghista, Luca Zaia.
Come già riportato, il Piano del governo (di centrodestra) è risultato indigesto ai tre presidenti (di centrodestra) perché pone la responsabilità dell’attuazione delle misure antismog “in via ordinaria” in capo alle stesse Regioni e solo “in via complementare” allo Stato senza che alle Regioni siano garantite (almeno per ora) risorse aggiuntive. Da qui il malcontento verso l’esecutivo nazionale, che, a detta delle Regioni, scarica sulle stesse il problema dell’inquinamento. A tal proposito vale la pena ricordare che questo Piano nasce (anche) dalla necessità di rispondere alle procedure di infrazione aperte dalla Commissione Europea nei confronti dell’Italia e delle Regioni del bacino padano negli anni scorsi. Meglio sfogliarlo, allora.
I cinque ambiti di intervento sono: quello delle “misure trasversali” a più fonti di emissioni nocive, quelli relativi, rispettivamente, ad “agricoltura”, “mobilità”, “riscaldamento civile” e, infine, l’ambito delle azioni già in atto. Ciascun ambito risponde ad un macro-obiettivo: potenziare le “campagne di comunicazione e sensibilizzazione rivolte ai cittadini, per promuovere comportamenti virtuosi e sostenibili”; “ridurre le emissioni in agricoltura attraverso l’adozione di tecniche a basso impatto emissivo”; “promuovere la mobilità sostenibile, con particolare attenzione al trasporto pubblico locale e alla mobilità condivisa” e “efficientare gli impianti di riscaldamento civile”.
Per quanto riguarda le Regioni, il Piano le chiama in causa come soggetti attuatori, in solitaria o insieme ad altre istituzioni (compresi i ministeri dell’Ambiente e/o dei Trasporti), per più “azioni”. Ma con una prevalenza in due ambiti: la riduzione delle emissioni nocive prodotte dall’agricoltura e di quelle dovute agli impianti domestici di riscaldamento. E prevede divieti o restrizioni o azioni esclusive proprio per le Regioni del bacino padano (Lombardia, Piemonte, Venete ed Emilia Romagna). Sul fronte dell’agricoltura, il Piano prevede di introdurre, esclusivamente per le Regioni padane, il di vieto di usare come fertilizzante l’Urea (un composto chimico), con un ovvio e riconosciuto aggravio di costi per le aziende agricole delle regioni considerate rispetto a quelle che operano altrove. O, ancora, altra misura ad hoc, la prescrizione di dotarsi di attrezzature per lo spandimento, a fronte di uno stanziamento complessivo di 50 milioni. Per quanto riguarda gli impianti di riscaldamento, ecco la stretta sui generatori di calore a biomassa, per i quali servirà una certificazioni ulteriore rispetto alle attuali.
Per l’estensione e l’integrazione dei piani Aria regionali – a fronte del nuovo Piano nazionale – sono previsti 100 milioni di euro, ma da ripartire tra tutte le Regioni. E con annesso “potenziamento dei controlli delle misure regionali oggetto di divieto”. Quanto alla mobilità, il Piano nazionale si rivolge soprattutto a Comuni e Città Metropolitane. Il Ministero dell’Ambiente ha predisposto un finanziamento di 800 milioni per progetti di mobilità casa-scuola, casa-lavoro, mobilità in sharing ma anche per l’estensione delle corsie prefrenziali per i mezzi pubblici e delle ciclabili nonché, in generale, per lo sviluppo del trasporto pubblico. Tutti obiettivi da raggiungere entro tre anni.