
Umberto Mormile, educatore 34enne al carcere di Opera, fu crivellato di colpi da due uomini in moto l’11 aprile 1990
Milano – A 35 anni dall’uccisione di Umberto Mormile la verità sul caso rimane incompleta. Il mistero è ancora lì. Per certi versi inaccessibile. Come il mondo sommerso della Falange Armata, la sigla che accompagnerà stragi, omicidi e attentati all'alba della Seconda Repubblica, di cui facevano parte agenti segreti, forze dell’ordine, malviventi, torbidi affaristi, e che rivendicò per prima l’omicidio dell’educatore carcerario di Opera.

L’assoluzione dell’ex boss della ‘ndrangheta
Pochi giorni fa l’ennesimo capitolo della vicenda. Nelle motivazioni della Corte d'assise d'appello di Milano sulla sentenza di assoluzione di Salvatore Pace, 69 anni, ex boss della 'ndrangheta accusato di avere partecipato all'organizzazione dell'omicidio di Mormile, vengono riconosciuti dai giudici i sospetti sulle possibili ‘interferenze’ occulte. Ma viene anche stroncato l’impianto accusatorio della parte civile, che aveva chiesto nuovi atti istruttori alla luce dell’inchiesta Equalize, la società meneghina dei dossier abusivi, e ipotizzato un possibile coinvolgimento del super poliziotto (deceduto a maggio) Carmine Gallo.

Il delitto a Carpiano: 11 aprile 1990
Ma andiamo con ordine. Mormile, educatore carcerario di Opera, viene ucciso a Carpiano, in provincia di Milano, l’11 aprile del 1990, perché – si legge nelle carte - testimone scomodo dei rapporti avvenuti in cella fra il boss Domenico Papalia e alcuni uomini dei servizi segreti. ll 37enne venne freddato in auto con sei colpi di pistola sulla provinciale Binasca, da due uomini in sella a una moto di grossa cilindrata. Alle 15.40 di quel giorno, all’Ansa di Bologna arrivò una chiamata anonima: “A proposito di quanto avvenuto a Milano, il terrorismo non è morto. Vogliamo che l’amnistia sia estesa anche ai detenuti politici”. È la prima rivendicazione della Falange Armata, che il 27 ottobre dello stesso anno, con un’altra telefonata all’Ansa di Bologna, confermerà l’omicidio apponendo la firma “falange armata carceraria”, e criticando la legge “Gozzini” sul carcere.
I pentiti: ucciso perché non si è fatto corrompere
In un primo momento si ritenne che la rivendicazione fosse falsa. Il collaboratore di giustizia Antonio Schettini, sentito dagli inquirenti, affermò che Mormile era un personaggio corrotto, ucciso per questioni di soldi dalla ‘ndrangheta. La verità, però, non tardò a emergere. I pentiti negli anni successivi all’omicidio cominciarono a parlare, sconfessando la prima versione di Schettini. ”Non era un corrotto, è morto perché non si è voluto corrompere”, spiegarono durante le udienze. Teoria che ha sostenuto fin da subito la famiglia, e ha combattuto per anni per affermarla anche la compagna di Umberto, Armida Misere, poi morta – stando a quanto riportato nei verbali – suicida anni dopo, da direttrice del carcere di Sulmona.

Le condanne per i mandanti e gli esecutori materiali
Quindi chi ha ucciso Mormile? E per quale motivo? Per l’omicidio nel 2005 sono stati condannati come mandanti i boss della ‘ndrangheta Antonio Papalia e Franco Coco Trovato e come esecutori materiali Antonio Schettini e Antonino Cuzzola. Nel 2011, in un altro processo, è stato condannato come mandante anche il boss Domenico Papalia, detto Micu, uno dei capi più importanti della ’ndrangheta. A marzo Salvatore Pace, come detto, è stato invece assolto dalla Corte d'assise d'appello di Milano dall'accusa di avere partecipato all'organizzazione dell'omicidio di Mormile. Secondo i giudici, il fatto non sussiste. La prima sezione della Corte d'assise d'appello ha ribaltato la sentenza in primo grado, con la quale Pace e Vittorio Foschini, 63 anni, erano stati condannati a 7 anni di pena. Foschini non ha fatto ricorso in appello e la decisione è definitiva. Mentre ha sorpreso non poco l’assoluzione di Pace: il collaboratore di giustizia aveva infatti confessato la partecipazione alla riunione nella quale era stato deciso l’omicidio dell’educatore carcerario perché era venuto a conoscenza degli incontri segreti tra gli uomini dell'allora Sisde e i boss della 'ndrangheta, per trattare sul rilascio degli ostaggi e sui riscatti pagati dagli imprenditori rapiti.

L’incrocio con il caso Equalize: Gallo e Verdoliva
Cosa c’entra questa sentenza con il caso Equalize? L’avvocato di Pace, fino al giorno prima della sentenza di assoluzione, quando è subentrato il collega Dezio Ferraro, era Salvatore Verdoliva, indagato nell'inchiesta della procura di Milano sull'agenzia di spionaggio privato. Dalle indagini, secondo il difensore della famiglia di Mormile, l’avvocato Fabio Repice, sarebbero emersi i rapporti tra Gallo - che all’epoca seguiva le indagini sulla ‘ndrangheta, i pentiti e i sequestri di persona - e l’avvocato Verdoliva che aveva stabilito il suo domicilio professionale proprio nella stessa sede di Equalize. A questo si aggiungono anche, si legge ancora, i presunti rapporti di Gallo con i servizi segreti e il clan Papalia. Clan che lo stesso Gallo contribuì ad arrestare con l’inchiesta Nord-Sud.
"L’avvocato Verdoliva è stato nominato difensore di fiducia di Pace - si legge nella memoria di parte civile - qualche giorno dopo la notifica a quest’ultimo dell’avviso dì conclusione delle indagini preliminari, a maggio 2022. In quel momento Pace era a contatto con Gallo per ragioni oggetto delle investigazioni. È in questo lasso di tempo che Pace, con ogni probabilità su induzione del sostituto commissario Gallo, nomina per la prima volta quale proprio difensore Verdoliva”. Nella memoria si ricorda che Gallo “era l’ufficiale di polizia giudiziaria che collaborò con la procura di Milano negli anni Novanta per la gestione di innumerevoli collaboratori di giustizia, ivi compresi quelli che hanno riferito sull’omicidio Mormile”. La memoria viene depositata il 7 marzo 2025, Gallo morirà due giorni dopo.
Nell’atto di appello proprio il legale di Pace ha invocato l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’ex boss nel 2019 e l’utilizzazione delle sole dichiarazioni rilasciate proprio all’epoca in cui Gallo era protagonista delle indagini della procura di Milano in materia di criminalità organizzata. Nelle motivazioni della sentenza, tuttavia, i giudici scrivono che ad oggi non ci sono indizi “che l’omicidio Mormile fu voluto non solo dai mandanti già condannati ma da sinergiche volontà criminose di segmenti deviati degli apparati statuali, oltre che dall’intero Consorzio mafioso”. Mentre le ipotesi su Gallo vengono definite “congetture, supposizioni e illazioni” e il cambio di avvocato di Pace una decisione dell’imputato “insindacabile” da parte dei giudici.

La Falange Armata nata tra i Servizi? “Ipotesi, non prove”
La condotta di Pace, reo confesso, è risultata invece “del tutto priva di incidenza causale, di forza agevolatrice e di rafforzamento dell’altrui proposito delittuoso”. Quanto alla Falange Armata: “Certo è forte il sospetto che il fenomeno della Falange Armata abbia potuto avere origine nell’ambito di servizi di sicurezza dello Stato - si legge ancora nelle motivazioni -. Si tratta, però, di mere ipotesi che, per quanto altamente plausibili, non possono supportare, in termini di prova processuale, alcuna conclusione sull’effettivo concorso di esponenti degli apparati di sicurezza dello Stato nei fatti” del processo. La Corte d’Appello ha quindi respinto tutte le richieste istruttorie di parte civile. La procura generale di Milano, secondo quanto emerge, non farà ricorso in Cassazione. I termini per presentarlo sono scaduti.
Stefano Mormile, il fratello di Umberto
“La sentenza è stata emessa, non la condivido non perché mi è avversa, ma semplicemente perché mi è difficile accettare che, a volte, neanche confessare un crimine basta a condannare il responsabile”, commenta il fratello di Umberto, Stefano Mormile. “Rispetto la sentenza, ma non posso tacere che la stessa, piuttosto che restare dentro il perimetro di competenza, ovvero, i fatti che accusano l'imputato e quelli che lo scagionano, deborda, sente il bisogno di sferzare tutti coloro che non si rassegnano, gli ostinati appunto, siano essi familiari, come noi parte civile, siano avvocati che ci difendono con esagerata perizia, andando perfino a scavare nell’indicibile”. E conclude: “Io sono un povero vecchio ostinato, ma se la Corte avesse letto anche solo quel piccolo insignificante riassunto della vicenda Mormile, beh, magari qualche ragionevole dubbio sarebbe emerso”.
Antonio e Micu Papalia, i legami con i Servizi segreti
Di dubbi sull’omicidio Mormile ne rimangono. Eccome. Fu il fratello Antonio Papalia, all’epoca libero, che decise di organizzare il delitto. Schettini, condannato in abbreviato a 14 anni, dopo le iniziali dichiarazioni al processo contro i Papalia si avvarrà della facoltà di non rispondere. A quel punto sarà Nino Cuzzola - colui che guidava la moto a bordo della quale viaggiava il sicario - a confessare e Antonio Papalia sarà condannato all’ergastolo. Cuzzola sostenne che l’educatore venne ucciso, in realtà, perché aveva scoperto che Domenico Papalia - all’epoca recluso nel carcere di Opera per l’omicidio D’Agostino, dal quale è stato poi assolto nel 2017, e per altre condanne - aveva rapporti in carcere con uomini dei servizi segreti, e che gli stessi 007 “beneficiarono” del delitto. Una situazione che andava avanti fino dalla sua detenzione a Parma, dove anche Mormile aveva lavorato.
"Umberto rifiutò di fare una relazione compiacente a Papalia”
Un’ulteriore svolta arrivò anche dall’inchiesta ’ndrangheta stragista: il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, raccolse la testimonianza di un collaboratore di giustizia di primo livello, ossia Vittorio Foschini, appartenente al clan di Coco Trovano a Milano.”Venne ucciso perché rifiutò di fare una relazione compiacente a Domenico Papalia”, disse Foschini. Importanti anche le deposizioni di Annunziato Romeo, ‘ndranghetista pentito vicino ai Papalia finito anche lui nell'inchiesta Equalize (nelle intercettazioni Gallo spiega di averlo convinto lui a collaborare negli anni ‘90), che parlò dei rapporti negli anni Ottanta tra il boss Micu Papalia e i servizi segreti. Nelle motivazioni dei giudici di Reggio Calabria si legge anche che: “Il collaboratore Fiume ha affermato che l’uccisione di Mormile era stata eseguita da Totò Schettini per decisione del ‘Consorzio’. Fiume ha precisato che nel Consorzio si era organizzato l’omicidio, ma che tale organismo eseguiva ordini dei servizi segreti che erano i veri mandanti”. Lo stesso Fiume spiegò anche cos’era il ‘Consorzio’, nato proprio a Milano: “Era il potere assoluto che dominava su tutti, perché all’interno c’era ‘ndrangheta, cosa nostra, camorra, sacra corona unita”, si legge ancora negli atti.

L’intervista a Salvatore Annacondia detto “Manomozza”
Infine, in un’intervista esclusiva fino ad oggi mai pubblicata, a ricostruire cosa avvenne quel giorno è stato l’allora boss pugliese, nonché elemento di spicco nel Consorzio, Salvatore Annacondia (conosciuto da tutti come Manomozza), divenuto poi collaboratore di giustizia. “Quel giorno, quando hanno ammazzato Mormile, noi stavamo in un ristorante sui Navigli, a Milano - svela Annacondia -, eravamo io, Antonio Papalia e altri, quando finimmo di mangiare entrò nel locale un killer calabrese, e disse: ‘Compare, tutto apposto’”. Mormile fu ucciso perché “si era messo contro i Papalia”, puntualizza ancora. Interrogato nel ‘93 dal sostituto procuratore di Milano, Armando Spataro, Annacondia spiega però “di essere rimasto vago e di non sapere niente” sull’omicidio dell’operatore carcerario. Ma alla domanda chi c’è dietro a quell’esecuzione, risponde: “I Papalia”.

La Commissione parlamentare d’inchiesta
La famiglia Papalia, in particolare Antonio, stando alle parole del pentito Cuzzola riportate da Federico Cafiero De Raho - sentito nel 2017, poco prima di diventare procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, da una Commissione parlamentare d’inchiesta in veste di capo della procura di Reggio Calabria - intratteneva storici “rapporti con il generale Delfino”. Il generale dei carabinieri ed ex agente dei servizi morto nel 2014. Addirittura, scrivono i giudici calabresi, “Foschini, a riscontro di Cuzzola, ha confermato che Antonio Papalia aveva fatto rivendicare l’omicidio dell’educatore carcerario con la sigla ‘Falange armata’. L’utilizzo di tale sigla era stato consigliato ad Antonio Papalia dai servizi segreti”.

L’uomo del Sisde: Andrea De Lucia
Le tante testimonianze hanno permesso di identificare almeno un altro 007 del Sisde, inviato nelle carceri di Voghera e Opera a raccogliere informazioni. Si chiama Andrea De Lucia: i magistrati milanesi, competenti per l’omicidio di Umberto Mormile, non lo hanno mai sentito, ma abbiamo potuto visionare il verbale della sua audizione datata 2020 (eseguito dal Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri, cioè agli ex colleghi di De Lucia). L’ex 007, esordisce, si “occupava anche, in modo marginale, di assumere delle informazioni in ambienti carcerari”. Quanto all’identificazione: “Io mostravo il mio documento, ma alcune volte venivo riconosciuto dal personale presente al blocco esterno e mi facevano accedere direttamente”, spiega escludendo qualsiasi collegamento con il cosiddetto ‘Protocollo Farfalla’, ovvero l’operazione condotta dal Sisde per raccogliere informazioni dai detenuti in regime di carcere duro. Per il resto delle domande, la risposta è quasi sempre no. Ha mai conosciuto Mormile? “No”. Mai sentito parlare dell’omicidio? “No”. Le faccio un nome e mi dica se può associarlo a un qualcosa: Papalia Domenico? “No”.