
Il fratello di Umberto Mormile: doloroso non vedere riconosciuta la verità dopo tanto tempo
Trentacinque anni fa, l’omicidio di Umberto Mormile aveva scosso tutta l’Italia. L’educatore del carcere di Opera era stato ucciso l’11 aprile 1990: era al volante della sua Alfa 33, sulla provinciale di Carpiano, partito da Montanaso Lombardo, nel Lodigiano, dove viveva con la compagna e la figlia di dieci anni, con destinazione l’istituto penitenziario dove lavorava. La ricostruzione di quell’assassinio non ha lasciato dubbi su mandanti ed esecutori. I boss Antonio Papalia (in seguito emergerà anche il ruolo del fratello Domenico, entrambi capi della famiglia di ‘ndrangheta di Buccinasco) e Franco Coco Trovato hanno dato l’ordine. I due killer, Antonio Schettini e Nino Cuzzola hanno eseguito, raggiungendo in sella a una Honda 600 l’auto di Mormile e sparando sei colpi con una calibro 38. Mezzo e arma fornita, secondo le accuse, da Salvatore Pace e Vittorio Foschini, condannati in primo grado a 7 anni di reclusione.
Ma la Corte d’assise d’appello di Milano ha ribaltato ieri la sentenza, assolvendo Pace perché "il fatto non sussiste" (Foschini aveva rinunciato all’appello). In territori come quelli del Sud Milano, dove la ‘ndrangheta ha piantato le radici malate dei suoi affari, l’omicidio aveva impaurito. Erano gli anni delle guerre per i traffici di droga, dei sequestri, con la ‘ndrangheta dei Papalia specialista, e degli omicidi. Quello di Mormile ha aperto capitoli oscuri su qualcosa che andava oltre le faide del potere locale mafioso, al di là dei traffici di droga, dei sequestri di donne e bambini nascosti in box e buche per soldi.
L’assassinio di Mormile "ha fatto luce su rapporti tra i servizi segreti deviati e i boss: andava fatto fuori, era diventato un pericolo - racconta il fratello di Umberto, Stefano, che da 35 anni si batte per ottenere giustizia e verità -. Scenari inquietanti e terribilmente attuali, con le ultime indagini che ancora tentano di far emergere verità che forse non conosceremo mai davvero".
C’è tanta rabbia in Stefano, nei familiari, in tutti coloro che sono certi che la verità sull’omicidio dell’educatore sia ancora da scoprire. "Sono in contatto con altri familiari di vittime di mafia – racconta Stefano Mormile –: ognuno di noi vive il proprio dolore, la sofferenza di non vedere riconosciuta, dopo tanti anni, la verità che possa dare dignità alle nostre perdite. Verità forse troppo inquietanti per venire a galla, ma di cui abbiamo bisogno".