Milano, 30 agosto 2023 - Da mesi, almeno da dicembre, Alessandro Impagnatiello stava tentando di avvelenare con del topicida Giulia Tramontano, la compagna 29enne incinta di 7 mesi poi uccisa il 27 maggio con 37 coltellate e il cui corpo è stato ritrovato dopo quattro giorni gettato vicino a dei box a Senago, alle porte di Milano. È quanto risulta dalla consulenza autoptica depositata oggi alla Procura di Milano che ha rivelato la presenza del veleno per topi sia nel “feto” che nel “sangue” della donna con un “incremento” della somministrazione “nell'ultimo mese e mezzo”.
Giulia ancora viva dopo le prime coltellate
Dalla relazione dei medici legali che hanno effettuato l'autopsia sul corpo della giovane, emerge anche che Giulia non è morta dopo la prima coltellata. La lama del coltello da cucina, impugnato da Impagnatiello, è stata affondata per ben 37 volte prima che la compagna morisse dissanguata. E con lei anche Thiago, il bimbo che la 29enne portava in grembo. Un elemento che rende il delitto ancora più atroce e che potrebbe tradursi, in aula, nell'aggravante della crudeltà, contestata dalla procura fin dal primo istante ma rigettato dal gip Laura Minerva.
Aggredita alle spalle: la 26enne non si è difesa
I due elementi più importanti che emergono dalla relazione del pool dei medici legali, ossia la presenza del "bromadiolone” sia nel “sangue che nei capelli” della madre sia nei “tessuti e capelli fetali” e il fatto che Giulia fosse ancora viva dopo ognuna delle coltellate ed è morta dissanguata (di conseguenza è morto il feto), rafforzano le aggravanti della premeditazione e della crudeltà. Le “lesioni”, hanno scritto i consulenti, avevano tutte una “massima infiltrazione emorragica di significato certamente vitale”. Sul corpo della 29enne nessun segno di difesa, perché la donna è stata aggredita alle spalle con le prime coltellate inferte nella zona del collo e dell'arteria “succlavia”
Quello strano malessere dopo la bevanda calda
L’esito dell’autopsia, per quanto agghiacciante, non è però sorprendente. Dalle indagini era infatti già emerso che Impagnatiello aveva cercato sul web l’argomento “come uccidere un feto con il veleno”. Non solo, a dicembre, quando era incinta di pochi mesi, Giulia Tramontano aveva scritto sul cellulare di non sentirsi bene, e che il malessere era sorto dopo aver bevuto “qualcosa di caldo”. Uno stato passeggero che poi si era ripetuto, ma che forse non doveva aver destato particolari sospetti perché scambiato probabilmente con un malessere da gravidanza. I messaggi di lei sul cellulare, le ricerche di lui sul web e i primi esiti che rilevano sostanze potenzialmente tossiche hanno quindi portato gli inquirenti ad approfondire questo aspetto, fino alla conferma choc dell’autopsia.