Caso Pifferi, il pm: “Psicologa inserì prima i punteggi nel test”

Milano, convocate per interrogatori altre due professioniste che, secondo l’accusa, avrebbero cercato di ottenere una perizia psichiatrica per la “mamma killer”

Alessia Pifferi e l'avvocata Alessia Pontenani durante l'udienza

Alessia Pifferi e l'avvocata Alessia Pontenani durante l'udienza

Emergono nuovi particolari nell’inchiesta parallela al processo Pifferi, che vede indagate per falso e favoreggiamento la legale e 4 psicologhe della 38enne, accusata di aver lasciato morire di stenti la figlioletta Diana. Secondo il pm, una delle psicologhe avrebbe predisposto “i relativi protocolli con i 'punteggi già inseriti’” nella somministrazione del “test di Wais” che servì, sempre stando alla versione dell'accusa, per segnalare un grave deficit cognitivo della 38enne e farle ottenere la perizia psichiatrica.

L'imputazione per falso e favoreggiamento a carico dei cinque indagati si legge nell'invito a comparire notificato alle due psicologhe, iscritte nelle scorse settimane. L'interrogatorio è fissato per il 4 aprile. Una delle due professioniste, 44 anni e in servizio all'ospedale San Paolo e nel carcere di San Vittore, avrebbe preso parte a quel test, che per il pm e i suoi consulenti non poteva essere effettuato e non aveva valenza scientifica (stesse considerazioni del perito nel processo). E avrebbe redatto, assieme all'altra (non presente al test), la “relazione del 3 maggio 2023”. Relazione, però, “materialmente” firmata, poi, da un'altra delle due professioniste già indagate, come emerso nei mesi scorsi. Una relazione che, tra l'altro, sarebbe stata anche modificata e revisionata rispetto alla “versione originaria”, pure “'cambiando’ alcuni grafici”.

La relazione sul test di Wais, si legge ancora negli atti, è stata firmata anche dall'altra psicologa già indagata da tempo, la quale, però, "era assente anche in occasione della somministrazione del test”. L'altra collega, poi, “senza aver partecipato alla materiale somministrazione” e basandosi “anche su quanto riferitole verbalmente (dall'altra, ndr) – scrive il pm – in ordine ai contenuti dei colloqui intrattenuti (con la Pifferi, ndr) contribuiva a redigere la relazione del 3.5.2023, pure modificando e revisionando la versione originaria nonché 'cambiando’ alcuni grafici”.

Le quattro psicologhe e l'avvocatessa avrebbero così attestato che Pifferi "aveva un quoziente intellettivo pari a 40 e quindi un 'deficit grave, al limite inferiore di questo livello (pertanto tra grave e gravissimo)'”. Gli esiti del test, scrive il pm, “erano incompatibili con le caratteristiche psichiche effettive della detenuta, per come emergenti anche dagli stessi colloqui intercorsi in carcere”, colloqui “anch'essi falsamente annotati nel diario clinico, con riferimento ai presupposti del ‘monitoraggio’ a cui la Pifferi veniva sottoposta, in realtà inesistenti giacché la donna non era un soggetto a rischio di atti anticonservativi”.

Secondo l’accusa, due delle psicologhe, in particolare, avrebbero portato avanti una "vera e propria attività di consulenza difensiva”, mentre l'imputata era “lucida” e “determinata”. E hanno lavorato per fornire “una base documentale che le permettesse di richiedere e ottenere in giudizio, eventualmente con il filtro di un'ulteriore consulenza di parte, la tanto agognata perizia psichiatrica”.