Alessitimia, cos’è il disturbo di Alessia Pifferi e perché è importante nel processo per l’omicidio della figlia

La perizia psichiatrica disposta dalla Corte d’Assise descrive la donna come incapace di esprimere emozioni e provare empatia

Alessia Pifferi, 38 anni

Alessia Pifferi, 38 anni

Milano – Nella perizia psichiatrica su Alessia Pifferi disposta dalla Corte d’Assise firmata dallo psichiatra forense Elvezio Pirfo si fa riferimento a un contesto famigliare dell’imputata affettivamente deprivante, a una dipendenza dagli altri, in particolare dagli uomini e una personalità caratterizzata da alessitimia, condizione psicologica incapacità di esprimere emozioni e provare empatia.

Cosa dice la perizia

Nelle conclusioni della perizia disposta dalla Corte d’Assise si legge che la 38enne accusata di omicidio volontario aggravato per aver lasciato morire la figlia di 18 mesi “ha vissuto il proprio contesto familiare e sociale di appartenenza come affettivamente deprivante e tale da indurre una visione del mondo e uno stile di vita caratterizzati da un'immagine di sé come ragazza e poi donna dipendente dagli altri (ed in particolare dagli uomini) per condurre la propria esistenza". Pifferi – prosegue l’analisi – “ha sviluppato di conseguenza anche un funzionamento di personalità caratterizzato da alessitimia, incapacità cioè di esprimere emozioni e provare empatia verso gli altri”.

L’alessitimia

La parola alessitimia deriva dal greco: è composta dal privativo “a” assenza, “lexis” che significa “parola” e “thymos”, cioè “emozione”. Può essere quindi sintetizzata come la mancanza di parole per le emozioni. Indica cioè, in base al grado di gravità, la difficoltà nel riconoscere e descrivere i propri e gli altrui stati emotivi fino alla completa incapacità di provare emozioni. Ne consegue un impedimento nei confronti delle altre persone, in particolare nell’identificazione delle loro emozioni. In base alle risultanze cliniche gli individui alessitimici non sono, per esempio, in grado di comprendere e giustificare il pianto o il riso.

La storia 

Fino agli anni 50 questa caratteristica psicologia era definita “analfabetismo emotivo”, a partire dalla fine degli anni 70 fu invece coniata la parola alessitimia, con particolare riferimento a pazienti psicosomatici, che sviluppavano cioè effetti fisici patologici, come ulcera, asma, eczema, coronaropatie, ipertensione. 

Le due teorie

Ci sono due interpretazioni dell’alessitimia. Secondo una parte degli studiosi è dovuta a un deficit cognitivo che colpisce la capacità di elaborazione delle esperienze emotive e porta all’assenza stessa di esperienza emotiva (le emozioni non esistono e, di conseguenza, non possono incidere sul comportamento). Secondo un’altra teoria, l’alessitimia è invece una carente abilità di base nel provare emozioni in generale e porta a un deficit selettivo della valutazione delle emozioni: non comporta quindi la completa assenza di emozioni o l’incapacità di descrivere i propri stati emotivi, quanto piuttosto una carenza nella componente interpretativa e valutativa degli affetti. In questa interpretazione gli individui alessitimici mostrano normali manifestazioni fisiche in presenza di emozioni, ma non riescono a organizzare gli elementi che caratterizzano la loro esperienza fisica in una rappresentazione mentale organica. 

Le ipotesi sulle cause

Tra le cause ipotizzate dagli studiosi dell’alessitimia c’è il rapporto con i genitori durante l'infanzia, da cui dipende lo sviluppo psico-affettivo. La mancanza di emozioni (effetto  dell’incapacità di riconoscerle ed elaborarle) può derivare da un ambiente “tossico” (famiglia autoritaria o anaffettiva, ma anche eventi traumatici) in cui manca un’adeguata relazione affettiva che permetta al bambino di sviluppare le proprie abilità cognitive e la capacità di rapportarsi al proprio stato emotivo. 

Patologia correlate

L’alessitimia può inoltre essere un sintomo di patologie psicologiche più gravi e invalidanti come l’autismo, la sindrome di Asperger o il disturbo narcisistico della personalità. Per quanto riguarda il caso specifico di Alessia Pifferi, la perizia di Elvezio Pirfo esclude esplicitamente “Una disabilità intellettiva, un disturbo psichiatrico maggiore e un grave disturbo di personalità”, ma proprio la diagnosi di alessitimia potrebbe aprire un fronte nel quale potrebbe inserirsi la strategia difensiva. 

Le cure

Non esistono dati certi sul trattamento dei pazienti alessitimici. Finora le esperienze cliniche sottolineano che la principale difficoltà di intervento dipende dalle scarsa capacità di elaborazione cognitiva e di mentalizzazione (la capacità di percepire e interpretare i comportamenti propri e altrui come il risultato di stati mentali): questo rende i pazienti difficilmente permeabili al cambiamento.

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