Nessun colpevole per la morte di Giovanna Pedretti. Il suicidio della ristoratrice di Sant’Angelo non ha altri responsabili

La donna era finita nella bufera per la replica sui social a una recensione omofoba sospetta. Il cadavere fu ritrovato nel fiume Lambro. Il pm chiede l’archiviazione

Giovanna Pedretti, ristoratrice di Sant’Angelo Lodigiano

Giovanna Pedretti, ristoratrice di Sant’Angelo Lodigiano

Sant’Angelo (Lodi) – Chi conosceva Giovanna Pedretti (nella vita, non su un social) e magari l’aveva vista tra i tavoli della pizzeria “Le Vignole” di Sant’Angelo Lodigiano che era il suo mondo, la descrive come una persona altruista, solare, generosa. Non certo un’influencer o una massmediologa. Una persona che, nel mezzo di una gogna social che le era piovuta addosso per una recensione che l’indagine ha accertato essere "non genuina", ha deciso prima di ferirsi a più riprese con "uno strumento da taglio non capace di lesioni profonde" - come scrive il procuratore di Lodi Maurizio Romanelli in una nota - per poi lasciarsi andare nelle acque gelide del Lambro il 14 gennaio, ponendo fine alla propria vita "per annegamento".

Per quella morte "all’esito dell’attività d’indagine svolta", dopo che era stato aperto un fascicolo per istigazione o aiuto al suicidio, la Procura ha chiesto ora l’archiviazione "per insussistenza di fatti penalmente rilevanti". Le indagini – spiega sempre il procuratore – hanno chiarito che "nessuno dei comportamenti tenuti da terzi, intervenuti a vario titolo nella vicenda, è in alcun modo qualificabile come fatto penalmente rilevante riconducibile alle ipotesi di determinazione al suicidio, rafforzamento al proposito di suicidio, rafforzamento o agevolazione". Per la legge, insomma, nessuno ha spinto Giovanna Pedretti a uccidersi.

La vicenda della "ristoratrice di Lodi", come venne ribattezzata Pedretti, inizia ai primi di gennaio quando sulla pagina Facebook del ristorante "Le Vignole” appare lo screenshot di una recensione in cui un presunto cliente scrive di non essersi trovato a suo agio nel locale "di fianco a dei gay" e a "un ragazzo in carrozzina che mangiava con difficoltà". Pedretti risponde con un’accorata difesa delle persone omosessuali e con disabilità e si conclude con un invito all’ipotetico cliente a non tornare più.

La recensione e la risposta della ristoratrice diventato subito virali. Arrivarono giornalisti e televisioni. Il volto di Giovanna e la sua storia diventano il simbolo della lotta contro le discriminazioni. Persino la ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli la ringrazia "per non essere rimasta in silenzio davanti a un atteggiamento spregevole e vile". Travolta dall’ondata di celebrità Pedretti, molto conosciuta in città anche per le sue iniziative sociali come la pizza sospesa, sostiene umilmente la sua battaglia di civiltà: "Il mio non è un atto eroico, ma una risposta normale e di buon senso che tutti, nel loro piccolo, dovrebbero dare a chi la pensa come quel cliente".

Insieme ai complimenti e alla solidarietà arrivano però anche i primi dubbi sull’autentiticità della recensione discriminatoria. Tra chi solleva i sospetti più pesanti ci sono il food blogger Lorenzo Biagiarelli (volto noto della tv), e la sua compagna Selvaggia Lucarelli. "Siamo di fronte a un’operazione di marketing spacciata per eroica difesa di gay e disabili", dicono dopo aver analizzato la recensione incriminata e aver telefonato a Pedretti.

L’ondata di empatia si trasforma così in rabbia e sospetto. Con la ristoratrice, pressata dalle domande che le piovono addosso da tutte le parti, costretta a opporre un semplice: "Mi dispiace". Ma a quel punto la marea è troppo alta. Il corpo di Giovanna Pedretti viene ritrovato nel Lambro, a poca distanza dal suo locale, il 14 gennaio 2024. Nella sua auto, parcheggiata lì vicino, vengono trovate tracce di sangue. La Procura apre un fascicolo contro ignoti per istigazione o aiuto al suicidio. Un’inchiesta che si è conclusa ieri con la richiesta di archiviazione per "insussistenza di fatti penalmente rilevanti" a fronte di una "recensione non genuina".

Il marito e la figlia della donna, che nel frattempo ha chiuso il locale, per poi riaprirlo con un altro nome, tramite la propria avvocata, fanno sapere che esamineranno gli atti, ma che probabilmente non si opporranno alla richiesta di archiviazione.