
La fabbrica Candy di Brugherio
BRUGHERIO – Per decenni la vita di Brugherio è ruotata attorno alla Candy. Molti erano brugheresi doc, altri venivano da fuori per una breve esperienza e poi si stabilivano qui, dove trovavano lavoro, un paese accogliente e persino l’amore in azienda. Così si è strutturata la fisionomia sociale di Brugherio per decenni.
Testimone di un’epoca Alba Ferro (nella foto), originaria di Bolzano, arrivata per lavoro a Milano e assunta all’ufficio personale della Candy di Brugherio nel 1967, dove è rimasta fino al 2012. “In azienda ho conosciuto mio marito Giuseppe Buschi – ricorda – quindi siamo rimasti ad abitare qui, come tanti altri. E qui sono nati i nostri tre figli. Il mio primogenito Alessio ha lavorato fino ai giorni scorsi nel laboratorio prototipi, siglando l’ultima lavatrice. Ha detto che ora l’azienda deve smantellare tutto ed è un vero peccato”.
Anche il secondogenito Mattia ha lavorato per un paio d’anni in Candy. Insomma l’azienda è stata la vita per intere famiglie, per decenni. Il marito della signora Giuseppe Buschi (mancato qualche anno fa) lavorava all’ufficio acquisti, poi era diventato capo reparto magazzino anche per il reparto kit (le lavatrici da montare all’estero). Faceva parte della squadra di basket aziendale, arrivata fino in serie A2. La signora Alba ricorda il primo campo di basket in un magazzino fra gli enormi capannoni di via Comolli: al centro il campo con le righe per terra e ai lati le lavatrici imballate, pronte per la spedizione.

“Ho visto l’evoluzione dello stabilimento – racconta – i robot per il taglio della lamiera, ma anche i reparti di pressofusione e betonaggio nel 1968. Impiegavano molti lavoratori immigrati dal sud Italia, seguiti da capi reparto severissimi che imponevano regole ferree. Poi il lavoro è evoluto e sono rimasti i reparti di montaggio e verniciatura”.
Ricorda un’azienda da 1200 persone la signora Alba e i patron, Peppino Fumagalli, l’anima commerciale che acquisì al gruppo Donora Elettrodomestici, Gasfire (cucine) e la britannica Hoover, per cui incontrò anche la regina Elisabetta ll; e poi Niso Fumagalli, il tecnico geniale. “Ricordo il dottor Peppino Fumagalli – racconta Alba – una figura integerrima, carismatica, severa. Ci ricordava sempre di spegnere la luce in ufficio, quando c’era il sole, per non sprecare energia elettrica”. Le impiegate come Alba hanno vissuto anche il brivido della rapina.
“Abbiamo subito la prima rapina nel 1972 – racconta – quel giorno avevamo tanti contanti, perché si pagava cash. I malviventi fecero irruzione in ufficio con armi e passamontagna, portando via diversi milioni di lire. Andandosene, dissero di non uscire, simulando di aver attaccato dell’esplosivo alla maniglia. Furono i colleghi degli uffici accanto che verificarono il bluff. I malviventi non furono mai presi”.