PAOLA PIOPPI
Cronaca

Il sequestro e la morte Cristina Mazzotti, Demetrio Latella si difende: “Io ingannato e usato”

La sua impronta digitale era sul cofano della Mini su cui viaggiava la ragazza. “Non sapevo cosa stavo andando a fare, ci hanno chiesto una cortesia”

Sopra Cristina Mazzotti, sotto Demetrio Latella davanti alla Corte d’Assise di Como

Sopra Cristina Mazzotti, sotto Demetrio Latella davanti alla Corte d’Assise di Como

Como, 18 settembre 2025 –  “O ti fai ammazzare o li ammazzi: io scelgo la seconda. Quello che posso dire è che io e Talia siamo stati ingannati da chi ci ha mandati e ci ha chiesto una cortesia... se queste si chiamano cortesie…”. Dopo mesi di dibattimento e discussione finale ormai avviata, Demetrio Latella ieri mattina si è presentato in aula davanti alla Corte d’Assise di Como, per spendere poche parole sul suo ruolo nel rapimento di Cristina Mazzotti, avvenuto a Eupilio la sera del 30 giugno 1975. Per lui, ormai ultrasettantenne come i due coimputati, Antonio Talia e Giuseppe Calabrò, a cinquant’anni da quel drammatico sequestro di persona, è stato chiesto l’ergastolo. A portare tutti davanti alla Corte d’Assise, a tanti anni di distanza, era stata un’impronta digitale lasciata proprio da Latella sul battente della Mini su cui viaggiava Cristina, bloccata e portata alla banda di carcerieri che l’avevano lasciata morire, chiusa in una buca per settimane e intossicata da sedativi. Tutti arrestati subito tranne gli esecutori materiali del rapimento, la banda di giovani intervenuta a Eupilio che aveva lasciato dietro di sé solo quell’impronta, identificata solo in anni recenti, sufficiente a far ripartire le indagini. Per tutti e tre, il pubblico ministero della Dda Cecilia Vassena, ha chiesto l’ergastolo.

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“Non sapevo cosa stavo andando a fare – ha proseguito ieri Latella - Siamo stati ingannati, sia io che il Talia. Ci hanno chiesto una cortesia, ci siamo trovati in un bosco con dei personaggi... Dopo tutto questo la mia vita è cambiata: ho chiesto spiegazioni a persone che, quando è successa la disgrazia, mi prendevano in giro e cercavano di usarmi. A quel punto sono indietreggiato e quello che è successo dopo è storia”. Ha poi proseguito: “Ho un carattere buono, però fino a un certo punto”. Ha raccontato la sua lunga detenzione, 33 anni: “Ho fatto 22 anni di carcere, quando gli altri a 10 anni e 6 mesi con l’ergastolo andavano in permesso, mentre a me dopo 22 anni mi hanno scarcerato perché ho un cancro”. Per poi concludere: “Mi assumo tutte le responsabilità, ma su questo siamo stati ingannati. Questo volevo dire, e grazie per avermi ascoltato”.

I suoi coimputati, Calabrò e Talia, fin dal primo minuto hanno negato ogni coinvolgimento nel sequestro, cercato di mettere in discussione il riconoscimento fatto negli anni dai due amici di Cristina, che erano con lei quella sera, e che ora si sono trovati davanti a uomini di quasi 75 anni, chiamati e cercare corrispondenze di un naso visto di profilo al buio, di un volto ormai lontanissimo, il cui ricordo è stato per sempre mischiato con la paura. Ieri hanno concluso le loro arringhe gli avvocati di parte civile Fabio Repici ed Ettore Zanoni, per lasciare la parola al primo difensore, Ermanno Gorpia per Giuseppe Calabrò. Il processo prosegue a ottobre, quando le difese del tre imputati dovranno arrivare alle loro conclusioni.