PAOLA PIOPPI
Cronaca

Il rapimento Mazzotti 50 anni fa. Cristina sui gradini del bar. E quell’urlo lacerante della madre

I sessantatré drammatici giorni a Eupilio, nei ricordi dello storico giornalista erbese Emilio Magni. Fino al ritrovamento del corpo: "Non avevo il coraggio di dire che era stata gettata in una discarica".

I sessantatré drammatici giorni a Eupilio, nei ricordi dello storico giornalista erbese Emilio Magni. Fino al ritrovamento del corpo: "Non avevo il coraggio di dire che era stata gettata in una discarica".

I sessantatré drammatici giorni a Eupilio, nei ricordi dello storico giornalista erbese Emilio Magni. Fino al ritrovamento del corpo: "Non avevo il coraggio di dire che era stata gettata in una discarica".

Un pensiero continuo, per molti: è la data del 30 giugno per chi ha vissuto i momenti del rapimento di Cristina Mazzotti, quella sera del 1975. I familiari, gli amici, chi ogni giorno aspettava notizie, si trova ora davanti a una lunga cifra tonda: 50 anni. Mezzo secolo passato con incredibile velocità, soprattutto per chi, ancora oggi, aspetta quel pezzo di verità a cui non si è mai arrivati: i nomi degli uomini che a Eupilio avevano fermato la Mini Minor su cui viaggiava Cristina, rapendola e consegnandola ai carcerieri. Emilio Magni, storico giornalista erbese, quella storia l’ha vissuta con grande emozione fin da subito ed è tra le persone per cui il 30 giugno non poteva essere un giorno come un altro. Lo scorso anno ha pubblicato un libro, “Il rapimento di Cristina Mazzotti“, edito da Mursia, che rievoca quei mesi.

"Ero a Trieste quando l’ho saputo – ricorda –. Ho preso il giornale e ho visto la foto di Cristina in prima pagina. È stato un colpo. La vedevo da quando era nata, nipote del poeta Alberto Airoldi, che conoscevo molto bene. Frequentavo la sua casa, mi dava lezioni di latino e inglese. Cristina era lì, è cresciuta lì, nella villa del nonno". Luoghi a cui la diciottenne è sempre stata molto legata, anche quando ha iniziato ad avere le sue amicizie. "I giovani si ritrovavano tutti al bar Bosisio di Erba – ricorda Magni –. Il mio ultimo ricordo di Cristina è sui gradini davanti al bar: teneva in braccio mia figlia che era piccola, le aveva preso una gomma da masticare. Ora al posto del bar c’è un istituto di credito, ma i gradini sono rimasti e da cinquant’anni, ogni volta che passo, penso a lei". Da quella sera, è iniziato un lungo e drammatico periodo di trattative, speranze, attesa di notizie. Fino al ritrovamento nella discarica di Galliate, il 1° settembre, quando era morta ormai da settimane.

"Per due mesi ho tenuto i rapporti con la famiglia – prosegue Magni – e quando l’Ansa ha battuto la notizia, è stato il momento più drammatico. Il direttore mi ha chiamato chiedendomi di andare subito a casa Mazzotti, per evitare che lo sapessero dalla tv. Sono passato dal bar Bosisio, erano tutti in attesa perché si sapeva che era successo qualcosa. In tanti sono scoppiati in lacrime e il figlio del proprietario si è offerto di accompagnarmi, ma anche lui poi è crollato. Al cancello mi è venuto incontro lo zio, Marco Airoldi: ha capito subito. Mi ha fatto entrare e, mentre mi avvicinavo alla casa, ho sentito un urlo lacerante: era la madre di Cristina, avevano appena telefonato per dirglielo. Erano tutti lì: parenti, amici. Mi hanno chiesto dove fosse stata trovata e non avevo il coraggio di dire che era stata gettata in una discarica". La banda di carcerieri fu arrestata in breve tempo, ma ora, dopo cinquant’anni, è in corso il processo ai tre uomini accusati di aver rapito Cristina quella sera, mentre i soldi del riscatto pagato non sono mai stati trovati. "Quando la banda venne portata in Questura a Como – prosegue Magni – c’erano duecento persone fuori, si sono tutti accalcati. C’era un’emozione grandissima da parte della gente, tutti chiedevano continuamente notizie".