
La nota “traccia di interesse dattiloscopico classificata 33” e l'indagato, Andrea Sempio
Pavia – L’assassino non è mai sceso dalle scale verso la cantina dove giaceva il corpo di Chiara Poggi. Semplicemente, dall’alto dei gradini, si sarebbe sporto appoggiandosi al muro. E lì, su quel muro, avrebbe lasciamo l’impronta del palmo della mano destra. Quella traccia sarebbe la nota “impronta 33” che è stata attribuita ad Andrea Sempio, il nuovo indagato per il delitto di Garlasco, avvenuto nel 2007 e per il quale venne condannato in via definitiva Albero Stasi.
È questa, in sostanza, l’ipotesi che secondo gli investigatori della Procura di Pavia spiegherebbe la presenza dell’impronta di Sempio sulla scena dell’omicidio e risolverebbe finalmente un enigma dopo diciotto anni: cioè perché sui gradini non sono mai state trovate impronte insanguinate dell’assassino di Chiara. Ma andiamo con ordine.
Cos’è l’impronta 33
Uno degli elementi principali a disposizione della Procura nelle indagini nei confronti di Sempio è l’impronta del palmo di una mano destra che nel 2007 venne individuata dai tecnici del Reparto investigazioni scientifiche dei carabinieri di Parma sul muro delle scale che portavano alla cantina di casa Poggi, poco distante dal punto dov’era il corpo Chiara. Quella traccia venne chiama “traccia di interesse dattiloscopico classificata 33”, da cui il nome “impronta 33”.

Già durante le prime indagini, era ritenuto plausibile che che l’impronta fosse quella dell’assassino, tuttavia, all’epoca fu giudicata inutile dagli stessi analisti dei carabinieri perché non era abbastanza dettagliata. Oggi, di quella traccia, esistono solo delle fotografie e una piccola parte che venne raschiata via dall’intonaco del muro (che i pubblici ministeri stanno cercando negli archivi del Ris). L’aspetto nuovo della vicenda è che nelle scorse settimane quell’impronta – campionata sia con lo scanner ottico che con l’inchiostro – è stata confrontata con quella di Sempio e tra le due sono stati trovati 15 punti sovrapponibili.
In Italia, l’identificazione personale è ritenuta sicura quando, anche in una sola porzione d’impronta, si riscontri una combinazione di almeno 16 o 17 punti caratteristici uguali per forma e posizione. Tale certezza deriva dal fatto che trovare una combinazione di una così elevata quantità di caratteristiche nel disegno papillare di due persone diverse è di circa una su 17 miliardi. Una traccia con 15 punti sovrapponibili, benché non ritenuta tecnicamente assolutamente certa, è quindi considerata attribuibile a un soggetto: e infatti i periti della Procura hanno attribuito l’impronta 33 a Sempio.
Pur essendo attribuita a Sempio, tuttavia, quella traccia potrebbe non avere a che fare niente con l’omicidio. L’impronta infatti non è stata lasciata dal sangue. Il colore è quello della ninidrina, una sostanza utilizzata per evidenziare le impronte non visibili. Per questo l’avvocato di Sempio, ha definito la traccia di nessuna importanza, “anche perché non abbiamo mai negato, né noi come difensori, né lui come indagato, che Andrea Sempio sia sempre sceso in quella cantina e abbia sempre frequentato tutte le stanze di quella casa, tranne la camera matrimoniale” dei Poggi.
L’ipotesi che accusa Sempio
Ma com’è che Sempio avrebbe lasciato quell’impronta, secondo gli inquirenti? Secondo una consulenza tecnica disposta dai pubblici ministeri di Pavia, come già detto, l’assassino avrebbe potuto lasciarla appoggiando una mano al muro dall’alto delle scale, senza mai scendere verso la cantina dove giaceva il corpo di Chiara Poggi o al massimo scendendo solo un gradino.

Questa ricostruzione risolverebbe un enigma che da diciotto anni accompagna il caso: come è possibile che l’assassino abbia lasciato un’impronta non lontano dal corpo senza che sui gradini fossero trovate tracce di scarpe insanguinate? La dinamica ipotizzata dagli inquirenti è infatti compatibile con l’assenza di impronte di calzature sui gradini verso il basso, elemento che era già stato accertato dalle precedenti indagini.

Nella parte alta, all’inizio della scala che scende giù verso la cantina, era stata trovata l’orma nel sangue della suola di una scarpa “a pallini” che fu attribuita ad Alberto Stasi e ad una sua scarpa di marca Frau taglia 42, come stabilito nella sentenza definitiva che lo ha condannato a 16 anni di carcere. Tuttavia, proprio sulla taglia di quella scarpa, gli avvocati di Stati avevano effettuato una consulenza tecnica sostenendo che potrebbe essere anche una 44. Un nuovo accertamento è stato già disposto anche dai pubblici ministeri di Pavia.

La mattina del 13 agosto 2007 a Garlasco viene trovata morta una ragazza di 26 anni: Chiara Poggi. Il corpo senza vita è riverso sulle scale che portano in taverna, nella sua abitazione in via Pascoli. Era sola in casa, perché la famiglia (padre, madre e fratello) stava trascorrendo alcuni giorni di vacanza in montagna, in Trentino. A fare la terribile scoperta è il fidanzato Alberto Stasi, che si era recato da lei perché non rispondeva al telefono: il giovane chiama i soccorsi e si reca in caserma dai carabinieri. Entro pochi giorni diventa il primo indiziato per il delitto della 26enne: verrà poi condannato a 16 anni con l'accusa di omicidio volontario (da aprile 2025 è in regime di semilibertà).
Oggi che c'è un altro indagato: Andrea Sempio, grande amico di Marco, fratello della vittima. Il 37enne è rientrato nelle indagini a marzo 2025, dopo che era stato scagionato nel 2017. Ma nella nuova inchiesta spuntano tanti nomi: dalle gemelle Stefania e Paola Cappa, cugine di Chiara, a Roberto Freddi e Mattia Capra, amici di Sempio e Marco Poggi.