
Roberto Bolle sul palcoscenico
Milano – Ma va’ a capire perché si vive se non si balla. Come canta Dargen D’Amico. Quindi niente scuse. Anche perché sta tornando “OnDance”, dal 3 al 7 settembre all’Arco della Pace. Ottava edizione. Per la grande festa della danza ideata e diretta da Roberto Bolle. Cartellone densissimo. Fra spettacoli, lezioni, incontri, dj-set. Quest’anno lasciandosi ispirare dal rapporto dell’arte con lo sport. Mentre mercoledì alle 18 ci si ferma un attimo per la presentazione di “Roberto Bolle” (Rizzoli), volume speciale per celebrare vita e carriera dell’étoile scaligera. Chiacchiere e firmacopie, insieme a Victoria Cabello.
Bolle, come sarà questa ottava edizione?
“Per la prima volta il festival è all’Arco della Pace. Saranno lì tutti gli eventi e credo sia una scelta che cambia in parte anche il pubblico, dopo gli anni in Duomo. Occupiamo con la danza un altro piccolo pezzetto di Milano, per altro condividendo tantissime iniziative”.
La più attesa?
“Il BalloRosso, domenica alle 17.30: una coreografia collettiva con 1.500 allievi sul Bolero di Ravel. È incredibile vedere il loro entusiasmo”.
Una delle parole chiavi è “contaminazione”, concetto che sembra appartenere molto alla sua visione artistica.
“È così. Per me è fondamentale trovare sempre nuove iniziative che permettano alla danza di uscire dall’orizzonte chiuso di un teatro, interagendo con mondi diversi. Qualsiasi modo è buono, l’importante è mantenere alta la qualità della proposta. A quel punto si può andare ovunque”.
In quanti l’hanno guardata con snobismo?
“Un po’, soprattutto all’inizio. I primi Bolle and Friends, i passaggi in tv. Ma anche quando ho portato We will rock you a Sanremo, tutti a domandarmi perché non avessi scelto dal repertorio classico. Credo che però in queste situazioni sia utile ricordarsi lo strumento che si ha a disposizione e il pubblico a cui ci si sta rivolgendo”.
Un pubblico generalista.
“Esattamente, che magari non sa nulla di danza e nemmeno gli interessa. Bisogna allora trovare il modo per arrivarci comunque. Perché se invece pensi di proporre un balletto classico in prima serata su RaiUno, l’unica cosa certa è che non lo rifarai una seconda volta… Poi sai, in questo periodo non mi pare proprio che manchino commenti, critiche e consigli non richiesti. Qualcuno pronto a dirti come devono andare le cose lo trovi sempre”.
I suoi maestri?
“Nureyev, Barysnikov, Carla Fracci. Grandi sperimentatori che hanno scardinato i cliché, insegnandomi tantissimo. Pensa a Nureyev che fece un passo a due del Lago dei Cigni al Muppet Show, oppure Barysnikov in Sex and the City. Carla interpretò grandi sceneggiati e il sabato sera andava poi a ballare in televisione con Heather Parisi o le Gemelle Kessler. Anche loro hanno avuto la loro dose di critiche. Ma rimangono momenti televisivi memorabili, capaci di rompere gli schemi proponendo qualcosa di nuovo, in grado di arrivare nelle case di tutti”.
Anche a lei.
“Eccome. Sono stati fonte di visioni e di intuizioni, senza contare che mi hanno dato sicurezza e forza nel cominciare un percorso di questo tipo”.
Dov’è che ha cominciato?
“A Trino Vercellese, avevo 6-7 anni. È stato il destino, non so come chiamarlo altrimenti. Una mia amica si era iscritta a un corso di danza e anch’io cominciai a frequentarlo. Un corso bisettimanale nella palestra del paese, con una maestra che veniva apposta da Torino per insegnare a noi bambini”.
Perché un nuovo libro?
“Ho compiuto cinquant’anni, è una data importante: ti guardi indietro, fai un bilancio. Avevo voglia che ci fosse qualcosa a testimoniare il percorso fatto, un documento dove ritrovare tante foto a cui tengo molto, non solo di grandi fotografi. Una raccolta di immagini che è prima di tutto una raccolta di momenti della mia vita”.
Una foto su tutte?
“Ce n’è una che mi fa sempre sorridere: sono io a 19 anni con un’espressione un po’ imbronciata. È quel momento in cui hai terminato la scuola e iniziano gli anni nel Corpo di Ballo, stagioni piene di incertezze, di sogni, di speranze. L’inizio di tutto”.
Un inizio col broncio.
“Sì, c’era anche quello! Ma è più facile vedermi sorridere. Quello scatto però credo che arrivasse dopo una lunga giornata di shooting”.
Cosa si augura per il prossimo mezzo secolo?
“Che la danza continui a essere la mia vita. Perché ne ho bisogno, il movimento è la mia forma di espressione. E poi di portare i valori della danza ai ragazzi, di viaggiare, fare incontri e incuriosirmi di tutto. È una delle grandi opportunità che mi ha dato questo lavoro. Anche se questa volta spero di viaggiare più per divertimento”.
È faticoso essere l’immagine pubblica di un settore?
“È una responsabilità. Sento gli occhi puntati su di me, nel bene e nel male. Perché da una parte ho l’autorevolezza per cambiare le cose, la mia voce viene ascoltata. Dall’altra non è sempre facile essere attenti e all’altezza delle aspettative, non siamo macchine. Ma guardando la bilancia, gli aspetti positivi rimangono decisamente superiori”.