
Yuri Urizio con la madre Giovanna Nucera Il giovane era cresciuto a Como e viveva a Milano
Milano – Per due volte la Procura generale di Milano ha respinto l’istanza della famiglia, che aveva chiesto di impugnare la sentenza della Corte d’Assise di Milano con la condanna al minimo della pena, 14 anni di reclusione, per l’assassino del 23enne Yuri Urizio, strangolato il 13 settembre 2023 dal tunisino Bilel Cubaa nei pressi della Darsena e morto in ospedale dopo due giorni di agonia. Sentenza che così, scaduti i termini per presentare ricorso (anche la difesa non l’ha impugnata), è diventata definitiva. “La Procura ha rigettato le istanze ribadendo la congruità della pena – spiega l’avvocato Davide Cicu, legale dello studio Casale, Cicu, Lombardo, che assiste la madre della vittima, parte civile –. In conseguenza del tipo di rito “concesso” all’imputato (l’abbreviato, ndr) la pena finale di 14 anni è stata ulteriormente ridotta di 2 anni e 4 mesi; se consideriamo i due anni di custodia cautelare in carcere e se si tiene presente che ogni 6 mesi al condannato può essere concessa la liberazione anticipata di 45 giorni, la pena che concretamente potrebbe dover scontare è di 6 anni, 7 mesi e 15 giorni”. Una pena che, secondo il legale, è “palesemente esigua in ragione del reato commesso e del danno cagionato”. Ma non è l’unica “ingiustizia” per la famiglia, perché Cubaa è stato condannato a una provvisionale di 200mila euro che non pagherà mai, in quanto nullatenente. Il legale ha presentato quindi istanza alla Prefettura per accedere al fondo statale per indennizzare vittime di reati violenti, circa 50mila euro per un caso di omicidio.
“Condannare quell’uomo a una pena così lieve è stato come uccidere mio figlio una seconda volta”, aveva spiegato la madre di Urizio, Giovanna Nucera, dopo aver letto le parole con cui la Corte d’Assise motivava la sentenza a carico di Cubaa. Quella notte, hanno ricostruito i giudici, il tunisino ha strangolato “con inaudita violenza e senza motivo un perfetto sconosciuto”, il giovane originario di Como, che si preparava a partire per la Toscana per un nuovo lavoro nel settore della ristorazione. Il motivo dell’aggressione è rimasto “per volontà dell’imputato del tutto oscuro”, e Cubaa ha dimostrato una “totale assenza” di pentimento.
Nonostante questa ricostruzione l’uomo è stato condannato al minimo della pena, 14 anni di carcere. Sulla quantificazione della pena (i giudici hanno accolto la richiesta del pm Luca Poniz), ha pesato anche la perizia disposta dalla Corte d’Assise che ha stabilito la “piena capacità di intendere e di volere” di Cubaa e ha scavato anche nelle condizioni di vita disagiate del 30enne, che “a scopo ricreativo” abusava di alcol e farmaci. “Le considerazioni svolte in perizia circa aspetti disfunzionali ed esistenziali che hanno favorito l’uso e l’abuso di alcol e di sostanze – ha motivato la Corte – valgono a far ritenere adeguata la pena minima edittale per il delitto di omicidio”.