Milano 21 agosto 2023 – Un caso sospetto a Monza, con annessa disinfestazione in una zona del quartiere Regina Pacis, subito dopo Ferragosto. Due giorni dopo la notizia di un ultrasettantenne di , ricoverato all’ospedale di Crema, che sarebbe il primo Castiglione d’Addacaso di febbre Dengue scoperto, almeno in Lombardia, senza collegamenti con un viaggio in un Paese tropicale o subtropicale dove il virus è endemico. L’indomani, altro caso a Manerba del Garda, nel Bresciano, che riguarda, invece, una donna da poco rientrata dall’estero (e segue di pochi mesi altri episodi, a Rovato e a Brescia due). Nessun allarme, ha precisato l’Ats di Brescia, ma via, come da prassi, a una disinfestazione nei dintorni dell’abitazione della malata (che sta bene) e un’ordinanza comunale perché i cittadini adottino tutti i comportamenti antizanzare: solo le loro punture, in particolare quelle del genere Aedes, possono diffondere il virus.
Nel Basso Lodigiano le Ats di Milano e Valpadana hanno anche diffuso un allerta a medici di base e pronto soccorso.
A raccontare chi ha sperimentato, suo malgrado, la malattia e ne è uscita pressoché indenne è una lombarda 38enne: “Durante il periodo di degenza in ospedale mi sono informata e ho scoperto che è conosciuta anche come febbre spaccaossa. Tutti i sintomi combaciavano. Anche se non ne avevo ancora la certezza, la sensazione era quella. Sono stata tre settimane bloccata a letto e anche per ogni piccolo spostamento, come per esempio andare in bagno, dovevo chiedere a mio padre di sostenermi". Giulia Lanzetti, 38 anni, educatrice per la commissione europea a Bruxelles, si trovava in Thailandia a Chang Mai, nel 2015, quando ha contratto la febbre dengue: "I primi segnali di malessere sono comparsi durante il viaggio di ritorno. Avevo la febbre a 39 e sentivo come se qualcuno mi avesse calpestato le gambe con un tir, ho capito immediatamente che non avevo a che fare con una febbre normale".
Cosa le hanno detto i medici in Italia? "Il giorno seguente al mio arrivo a casa sul lago Maggiore ho preso un antipiretico senza sentire alcun tipo di miglioramento. Così mi sono recata al pronto soccorso più vicino ad Angera. I medici mi hanno consigliato di tornare a casa e aspettare che “l’influenza facesse il suo corso“. Io e mio padre non avevamo dubbi invece. Mi ha portato al Sacco, padiglione malattie infettive: i dottori sospettavano malaria o dengue. Con un test abbiamo escluso la prima e, dopo tre settimane gli esami del sangue hanno dimostrato che si trattava della seconda patologia. Nel frattempo, ogni due giorni, mi recavo in ospedale per assumere liquidi e integratori tramite flebo. Non esiste una vera e propria terapia, così come non esiste una profilassi, ma l’eccessiva disidratazione, oltre alla perdita di peso, è l’effetto collaterale più evidente".
Ha mai avuto la sensazione di essere in pericolo di vita? "Avendo viaggiato tanto, ero consapevole della presenza endemica della dengue in Thailandia e in altre regioni tropicali. Quello che non sapevo è che esistono diverse tipologie di virus, ben quattro. Io ho incontrato la versione più leggera e grazie agli anticorpi che ho sviluppo sono coperta dalla possibilità di ammalarmi nuovamente. Gli specialisti del Sacco, una volta rimessa in sesto, mi hanno spiegato che a quel punto ero più esposta a contrarre il sierotipo emorragico, che se non curato prontamente può portare alla morte, qualora avessi viaggiato in aree a forte presenza di zanzare Aedes, le incubatrici del virus. Per circa tre anni mi sono spostata in Europa stando ben lontana dal Sud-Est asiatico e dall’America centrale".
In Italia da gennaio 2023 sono quasi 50 i casi diagnosticati. "L’aver conosciuto la malattia in anticipo mi ha portata anche a studiarla. Personalmente soffro di una patologia autoimmune, l’artrite reumatoide, una malattia infiammatoria cronica che mi ha causato gravi problemi di mobilità in giovane età. Da quello che mi hanno detto i medici però, il virus non l’ha nuovamente attivata. Questo perché non agisce sulle patologie pregresse, colpisce più o meno duramente il fisico in base allo stato di salute in cui ci si trova al momento del morso. Inutile dire che coprirsi adeguatamente è uno degli accorgimenti per chi intraprende questo tipo di viaggio. Ci tengo a precisare che non può essere trasmessa da uomo a uomo ma se fino agli anni ’70 era diffusa in 30 Paesi, oggi non esistono più dei confini geografici che la delimitano".