
La truffa dei lingotti d’oro si fondava sul cosiddetto «schema Ponzi»
"Non era nemmeno il fatto di guadagnare, era il fatto di pulire...". Ore 18 del 10 aprile 2025, siamo in un bar di San Donato Milanese. L. si presenta all’incontro con Ferdinando Esposito, quarantaquattrenne originario di Napoli, ma il suo interlocutore non sa che lei sta registrando tutto. L. è la sorella di Stefania Conti Gallenti, destinataria col marito Samuel Gatto e con altri cinque indagati di un’ordinanza di custodia cautelare (nel suo caso ai domiciliari) emessa a fine 2024 sulla base dell’inchiesta della Guardia di Finanza sulla presunta truffa dei lingotti che ruotava attorno alla società Globan Group Consulting. Un’inchiesta che ha smascherato un sistema collaudato di reclutamento di risparmiatori, convinti dai procacciatori di clienti a mettere soldi sull’oro (in totale sarebbero stati raccolti almeno 60 milioni di euro) e in seguito su prodotti farmaceutici in cambio di un rendimento fisso mensile garantito del 4%. Un tranello con il cosiddetto "schema Ponzi" (che si fonda su illusori ed effimeri guadagni garantiti ai primi raggirati con i soldi nel frattempo versati da altri) in cui sarebbero cascate circa cinquemila persone in tutta Italia.
Tra loro, emerge ora da un’indagine dei carabinieri dal Nucleo operativo della Compagnia di Rho, c’erano pure personaggi poco raccomandabili, come ad esempio Esposito, che avrebbero usato la Global come una cassaforte dove custodire guadagni di provenienza quantomeno opaca: in totale avrebbero consegnato 1,2 milioni di euro. Invece di presentare denuncia, come hanno fatto nei mesi scorsi centinaia di persone, Esposito e i suoi sono andati dritti alla fonte per recuperare il denaro sparito o finito sotto sequestro. In assenza di Gatto e Conti Gallenti, irreperibili da mesi e mai arrestati, le pressioni estorsive si sono riversate sui familiari della donna e su Moreno Alestra, un altro dei componenti dell’associazione a delinquere ipotizzata dai pm, a cui avrebbero rotto il setto nasale con un’irruzione a casa il 14 maggio ("Questo che è successo è solo un avvertimento... noi tra una settimana torniamo, sfondiamo la porta e ti facciamo di peggio"). Stando a quanto ricostruito dagli investigatori e condensato nel provvedimento firmato dal gip Luca Milani, l’escalation inizia il 10 febbraio, quando Vincenzo Frezza, cinquantaquattrenne di Torre Annunziata che avrebbe investito 88mila euro, dà fuoco a Paullo alla Peugeot 208 di proprietà della madre di Conti Gallenti e abitualmente utilizzata dalla figlia L.: le immagini e la targa dell’auto immortalata dai varchi contatarghe lo inchiodano.
Il 15 marzo, G.F., madre delle sorelle Conti Gallenti, si presenta in caserma per denunciare di aver trovato due proiettili calibro 9x21 nella cassetta postale.: nella querela, la signora avanza sospetti sulle "brutte persone" che, tramite Frezza, avrebbero affidato cifre ingentissime a figlia e genero. Tra queste, c’è Esposito, finito in cella venerdì con Frezza, Andrea Di Flora e Antonio Bardetti De Villanova. L. lo incontra al bar per spiegargli che non c’entra nulla con la storia della truffa e per provare a interrompere la spirale di paura. L’altro, tra allusioni e mezze frasi, non arretra, spiegando di aver parlato chiaro all’epoca con la sorella e chiedendo con insistenza la restituzione dei quattrini o la lista di chi è finito ai domiciliari: "Le ho detto guarda che il problema c’è. Cioè se te ne vai rimani la tua famiglia qua, te lo giuro sui miei figli gliel’ho detto". Poi l’uomo fa chiaramente trasparire l’origine illecita dei contanti: "Sennò li mettevo in banca, oppure li intestavo ai miei figli, perché pure io c’ho due figli, facevo 50 a uno e 50 all’altro. Ma questo lo può fare chi lavora onestamente".