Jihad in Italia: restano in carcere i due egiziani che ce l’hanno con ebrei e Meloni

Il gip di Milano Fabrizio Filici ha respinto le istanze di un alleggerimento della misura cautelare presentata dagli avvocati dei presunti affiliati all’Isis

Milano, 21 ottobre 2023 – Le loro giustificazioni e lacrime non sono state abbastanza convincenti: Rafaei Alaa e Nosair Mohamed, accusati di essere affiliati all’Isis, restano in carcere. 

Il gip di Milano Fabrizio Filici ha rigettato la richiesta di arresti domiciliari presentata dagli avvocati dei due egiziani, arrestati martedì scorso nell’ambito di un’inchiesta della procura di Milano sulle possibili ramificazioni italiane delle organizzazioni di terrorismo internazionale. Alaa e Nosair, 44 e 49 anni, difesi rispettivamente dagli avvocati Emanuele Perego e Massimo Lanteri, dovranno rimanere entrambi in carcere.

Gip: “Condotte gravi, proselitismo via social all’Isis”

Nel provvedimento con cui si conferma il carcere e si respingono le richieste di domiciliari dei difensori, il gip Fabrizio Filice spiega che le azioni di Alaa Refaei e Gharib Hassan Nosair Mohamed Nosair sono connotate da “una indiscutibile gravità”. In particolare, si evidenzia come “la rilevante mole di materiale propagandistico rinvenuta sui device loro sequestrati, si ricava inconfutabilmente che entrambi sono abitualmente dediti non soltanto al download di copioso materiale di propaganda e di apologia del jihadismo in generale e dell'Isis in particolare, ma anche alla condivisione di questo materiale, e che quindi entrambi sono dediti a una consapevole e deliberata attività di proselitismo via social a favore dell'Isis", scrive il giudice. “L'aperto sostegno all'Isis, veicolato attraverso la detenzione e la condivisione del materiale propagandistico (mediante tutti gli strumenti che i social mettono a disposizione: la continua creazione di profili, la condivisione di contenuti, i commenti e i like ai post di altri, l'uso di chat di messaggistica istantanea alternativamente con applicativi in chiaro, come WhatsApp, e con altri cifrati, come Telegram) non è limitata a una condivisione ideologica degli obiettivi dell'organizzazione terroristica” si sottolinea nel provvedimento, “ma è espressamente rivolta anche al metodo estremamente violento attraverso il quale detta organizzazione, e più in generale le organizzazioni terroristiche di matrice jihadista, cercano di perseguire i propri obiettivi”.

Gip: “Bonifici a donne dello Stato islamico”

Non solo, prosegue il gip, i due hanno effettuato bonifici a favore delle “donne dello Stato islamico”. Non conta che i contributi economici in sé non fossero di rilevante entità: "quello che conta è che gli indagati abbiano dimostrato un più che stabile inserimento nella struttura organizzativa digitale riconducibile all'Isis”. E' attraverso i social che l'Isis cerca il consenso e di costituire “la riserva aurea delle individuali vocazioni al martirio, le quali vengono poi prontamente rivendicate dall'Isis, secondo uno schema ormai consolidato, che riconosce la veste di proprio combattente a chiunque ne attui, ovunque e in qualsiasi momento, le strategie violente: il modello dei cosiddetti 'lupi solitari' e rappresenta un pericolo più che concerto di reale compimento di atti di violenza, le cui ispirazione e progettazione nascano all'interno della rete”.

Perquisizioni della polizia nella casa di un arrestato
Perquisizioni della polizia nella casa di un arrestato

Il legale: “Rafaei Alaa non è pericoloso”

“La difesa presenterà nei prossimi giorni istanza di Riesame perché ritiene non sussistente la qualità dell'esigenza cautelare, in particolare la pericolosità sociale”. Lo ha fatto sapere l'avvocato Emanuele Perego, legale del 44enne egiziano Rafaei Alaa. Commentando il rigetto da parte del gip della revoca della misura cautelare in carcere, il difensore ha sottolineato la “non pericolosità” del suo assistito. “Pur essendo ferito - ha aggiunto -, perché gli viene notificata un'apertura di indagine, non ha nessuna reazione violenta. Questo presunto terrorista viene perquisito, gli viene messa sottosopra la casa, viene denunciato ed è così 'pericoloso’ che non reagisce”.

L’operazione

Fra le contestazioni rivolte ai due arrestati dal procuratore Marcello Viola e dal pm Alessandro Gobbis ci sono alcune minacce via social contro gli ebrei (bollati come “scimmie”) o contro alcuni protagonisti della politica come la premier Giorgia Meloni. Secondo gli investigatori i due connazionali – residente a Monza Alaa, mentre Nosair vive a Sesto San Giovanni – sarebbero stati particolarmente attivi in rete, creando continuamente nuovi profili per diffondere contenuti legati alla propaganda di Daesh.

L’ipotesi è che entrambi fossero addirittura pronti a “uccidere civili inermi”. Non solo. Ad Alaa e Nosair sono contestate anche iniziative di raccolta fondi per finanziare organizzazioni contigue al terrorismo.

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La difesa

Negli interrogatori con il giudice per le indagini preliminari i due arrestati hanno provato a ridimensionare la portata delle accuse, definendosi solo “simpatizzanti” dell’Isis, in chiave di opposizione al regime del presidente della Siria Bashar al-Assad. Hanno sostenuto di amare l’Italia e di sentirsi integrati nel nostro Paese. Quanto al denaro raccolto nel corso dei mesi, hanno sostenuto che si trattasse di opera di beneficenza a favore di donne palestinesi che li avevano contattati via social. Dichiarazioni condite da lacrime che, però, non paiono essere stati sufficienti ad alleggerire le loro posizioni.

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