Milano, le chat degli Jihadisti della porta accanto: “Ci si abitua a sparare. Sappiamo come zittire Meloni”

Blitz della Digos: in manette due egiziani che inneggiavano allo Stato islamico. Il giuramento di fedeltà e le minacce a Meloni e Berlusconi: colpirli a ciabattate

La perquisizione degli agenti dell’Antiterrorismo della Digos nella casa di un arrestato

La perquisizione degli agenti dell’Antiterrorismo della Digos nella casa di un arrestato

Dall’Australia al Sudamerica. Dal Baltico all’Africa subsahariana. La Piovra jihadista aveva tentacoli ovunque, in ben 79 Paesi. Basta dare un’occhiata ai numeri di telefono di una delle chat scandagliate dalla polizia per farsi un’idea: al di là dei 670 con prefisso dello Yemen, i 264 azeri e i 166 siriani, spiccano i 136 statunitensi; e poi c’erano utenti che si connettevano da Marocco, Mali, Niger, Congo, Sudan, Gran Bretagna, Argentina, Indonesia, Malesia, Bangladesh, Birmania e Vietnam.

Gli unici due in collegamento dall’Italia per condividere foto e video inneggianti allo Stato islamico erano, secondo le indagini, il quarantanovenne Mohamed Hassan Gharib Nosair, egiziano con permesso per soggiornante di lungo periodo residente a Sesto San Giovanni e dipendente di un’impresa di pulizie di Brugherio, e il quarantatreenne Alaa Refaei, egiziano con cittadinanza italiana residente a Monza con moglie e quattro figli e titolare fino a un anno e mezzo fa di una piccola impresa edile (ora fa il muratore per conto terzi dopo aver venduto il suo furgone causa crisi economica). Entrambi sono stati arrestati all’alba di ieri con le pesantissime accuse di partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo e istigazione a delinquere, a valle di un’indagine scattata due anni fa.

L’inchiesta

Come si legge nelle 183 pagine di ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Fabrizio Filice su richiesta del pm Alessandro Gobbis, gli accertamenti investigativi entrano nel vivo nell’estate del 2021, quando due annotazione degli specialisti dell’Antiterrorismo della Digos, guidati dal dirigente Daniele Calenda e dal funzionario Carmine Mele, segnalano la presenza di Nosair e Refaei in alcuni gruppi Whatsapp (ognuno con 200-300 iscritti) che veicolano "materiale informativo e apologetico dell’Isis": apparentemente integrati, i due in realtà hanno avviato un "percorso di radicalizzazione che li ha portati non solo a essere estremamente attivi nella propaganda e nel proselitismo digitali" per conto dell’organizzazione salafita, ma anche a "concretizzare atti di vera e propria messa a disposizione dell’organizzazione terroristica, quali il finanziamento di “cause di sostegno” dell’organizzazione stessa e la prestazione del giuramento di appartenenza e di fedeltà" al Califfato.

L’alert della Digos viene sviluppato insieme ai colleghi della sezione cyberterrorismo del Compartimento di polizia postale Umbria con intercettazioni telefoniche e telematiche (anche con l’utilizzo di trojan) e con l’analisi dei profili Facebook. Quello riconducibile a Refaei straborda di commenti e like di approvazione alle azioni dello Stato islamico; e lo stesso vale per i gruppi Whatsapp che frequenta quotidianamente.

I contatti con l’uomo dell’Isis

Gli accertamenti economici fanno emergere che tra il 26 aprile 2020 e il 23 ottobre 2021 l’egiziano ha inviato in più occasioni "somme di denaro in favore di soggetti di origine siriana geograficamente collocati in Turchia, Egitto e Libano". Chi è il destinatario? Sayed Abu Usama, ricostruiscono gli inquirenti.

Chi è? L’agenzia di sicurezza americana Ncis lo conferma alla Digos il 23 maggio 2022: è un membro dell’Isis di stanza nella provincia siriana di Idlib, "coinvolto nell’attività di assistenza finanziaria rivolta alle donne del cosiddetto Stato islamico che si trovano nel campo profughi di Al-Hawl", all’interno del quale, sotto il controllo delle autorità curde affiliate alla coalizione internazionale anti-Califfato, sono ospitati 11mila familiari di combattenti siriani e iracheni. Il 4 gennaio 2022, Refaei scrive a un intermediario: "Chiama il fratello Sayad Abu Usama e diglielo di mandarmi un nome e io, se Allah ci permette, ti manderò 200 euro".

“Sparare ti fa il cuore di ferro”

Il giorno di San Silvestro, le cimici della polizia captano alle 21.01 un dialogo tra Nosair e alcuni amici. Il quarantatreenne naturalizzato italiano spiega: "Sparare con un’arma da fuoco ti fa avere un cuore di ferro, qualsiasi persona che spara diventa rigida, con quella da fuoco... Perché io ho sparato, e all’inizio avevo paura ma dopo mi sono abituato, hai capito?". Anche Nosair, come Refaei, invia soldi all’estero: tra il 12 marzo 2020 e il 7 giugno 2021, manda 1.035,91 euro a beneficiari "collocati geograficamente nello Yemen e in Palestina", in particolare a donne che si presentano come vedove di combattenti; agli atti ci sono pure le ricevute dei versamenti, allegate da Nosair per dar conto di volta in volta dei contributi inviati.

Meloni e Berlusconi nel mirino

Il 3 ottobre 2022, Refaei risponde così a un post con una foto che ritrae Giorgia Meloni (che 19 giorni sarà nominata premier) e Silvio Berlusconi: "Non ti preoccupare per noi – scrive in un commento –. Sappiamo benissimo come zittirli e fermarli al momento giusto... viviamo con loro da banditi... pronti a colpirli a ciabattate".

Meno di due mesi dopo, il 30 novembre, il quarantatreenne commenta l’uccisione del terzo califfo dello Stato islamico Abu al-Hasan al-Hashimi al-Qurashi rinnovando "il giuramento di fedeltà" al successore Abu al-Hussein al-Husseini al-Qurashi: "Facemmo atto d’obbedienza allo sceicco (che Dio lo protegga), impegnandoci a udire e obbedire, nelle situazioni avverse come nelle favorevoli, nelle situazioni agevoli come nelle asperità, al di là delle nostre inclinazioni; e a non contestare l’autorità a chi la detiene, a meno che non vediate chiari segni di miscredenza; e ne avrete la prova evidente da Allah l’Altissimo; e a dire la verità ovunque fossimo, senza temere, nel nome di Allah, censura da nessuno".

“È per i terroristi come me”

ll 10 ottobre 2021, Refaei inizia a conversare via chat con un amico connazionale residente a Sesto a cui in passato ha inviato materiale propagandistico: a lui racconta che un cliente italiano gli ha detto qualche giorno prima che "il vostro uomo Al-Sisi ( presidente della Repubblica egiziana, ndr ) sta costruendo per voi delle carceri, là giù in Egitto". Il quarantatreenne dice al suo interlocutore: "Sì sì, è per terroristi come me. Secondo te, perché io non vado giù ( in Egitto, ndr )? Perché se mi prendono non vado al carcere di Baha, finisco nel carcere di cui ha parlato tuo cugino...".

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