
Giorgio Armani, morto all'età di 91 anni
Milamo, 6 settembre 2025 - Lo stile sobrio, milanesissimo, ma soprattutto “Armaniano”, lo si respira anche il giorno dopo l’annuncio che “il re” della moda è morto.
La prova tangibile di quello che lui era, di come ha vissuto, lo si vede nei suoi luoghi, quelli creati a Milano e per Milano. Il dolore si vive in forma privata e, il giorno dopo, si torna al lavoro, come sempre, senza annunci, tutto perfetto, in un elegante low profile: questa è la direttiva della maison, questo lo spirito.
Quindi ieri, in via Manzoni, angolo Croce Rossa, alla sua grande boutique di due piani, accanto all’Armani Hotel, a pochi passi dal Duomo, il personale era come sempre, impeccabile, le vetrine stilose, il bar che affaccia sul monumento a Pertini, di Aldo Rossi, più frequentato del solito. “Show must go on”, così avrebbe voluto lui, parlano i fatti perché le bocche dei dipendenti restano cucite, ferme in un sorriso di circostanza.
Il suo quartier generale, quello del cuore, Brera, via Borgonuovo, protetto in ogni ingresso da sette vigilantes. Ad indicare i tre civici della via, al 21 la sua casa, all’11 palazzo Orsini, in cui da oltre quarant’anni ci sono le sue première, le sarte di fiducia, e al 18 gli uffici, solo le bandiere a lutto, legate da un nastrino di seta nero.
Chi lo conosceva bene racconta che Armani a palazzo Orsini entrava quasi ogni mattina per pensare e preparare la sfilata, un passaggio per le riunioni con lo staff al civico 18, ma prima alle sette, otto al massimo in via Manzoni a controllare le vetrine, se erano a posto, se rispettavano il suo stile. Voleva avere il controllo di tutto e, da perfezionista, le aggiustava, il suo occhio era nei dettagli, per poi pranzare spesso al suo “Nobu”, in via Pisoni, ancora Brera, dove aveva il tavolo riservato, con qualche eccezione, talvolta, per sedersi da “Bice”, in Borgospesso.

Ma erano tanti i luoghi del cuore di Armani, il Poldi Pezzoli, la casa-museo a pochi passi dalla Scala, in cui lui si rifugiava per trarre ispirazione dall’eleganza dei dipinti. O la Pinacoteca di Brera che adorava e sosteneva da mecenate, al punto che nell’aria c’era, e forse c’è ancora, l’ipotesi di un trasferimento del suo archivio alla Pinacoteca per dare un respiro più “museale” alla sua storia. E la sera, quando poteva, amava trascorrerla al cinema, l’Odeon il prediletto, storico, bellissimo, accanto alla Rinascente, prima che diventasse nel 2023 una Beauty hall. Le sue sfilate e le mostre d’arte, erano al Silos, in zona Tortona. Un luogo in cui, negli ultimi anni, aveva trasferito il business, ma non il cuore. Quello restava a Brera, soprattutto a palazzo Orsini, che un tempo fu quartier generale di Federtessile.

Lo racconta Mario Boselli, storico presidente, oggi onorario, della Camera nazionale della moda dei tempi d’oro. A lui, fra l’altro, si deve il rientro di “re Giorgio” nella associazione, dopo anni di lontananza per via di una brutta litigata che Armani fece con Versace sulle modelle. Anni passati, pace fatta, la Camera della moda italiana non poteva esistere senza Armani e la capacità diplomatica di Boselli aggiustò tutto. “D’altra parte lo conoscevo e ci stimavamo da quando per la prima volta gli mostrai i tessuti che producevo – racconta commosso Boselli –. Ci vedemmo proprio a palazzo Orsini in cui, all’epoca, c’era il mio ufficio da presidente di Federtessile. Un ufficio bellissimo, prestigioso, che qualche anno dopo, quando Armani comperò l’intero palazzo, sarebbe diventato il suo. E così, per quasi cinquant’anni, abbiamo continuato a vederci nell’ufficio che aveva legato le nostre “carriere“.
“Mi piace ricordarlo con due aneddoti – aggiunge Boselli –. Un anno fa lo incrociai in Brera, mi venne incontro, cortese come sempre, mi appoggiò una mano sul braccio e mi disse: Mario, ma tu quanti anni hai? Io gli risposi, caro Giorgio, sono 83 e lui (che ne aveva 90, ndr). eh ma come sei giovane. Ridemmo insieme. L’ho rivisto quest’anno a marzo, al Silos, in Tortona, per la sua ultima sfilata. Fu talmente bella che, emozionato, feci una cosa che non avevo mai fatto, prima che lui uscisse per gli applausi andai dritto nel backstage, nessuno mi fermò, nemmeno la guardia del corpo. Lui mi venne incontro. Ci siamo abbracciati. È stata l’ultima volta, il nostro saluto”.