
I Punkreas sono nati come band a San Lorenzo di Parabiago nel 1989
Milano, 6 settembre 2025 – “Ogni civetta ha la sua casa, un albero. Ma il barbagianni invece no!” E neanche il Leoncavallo, al momento.
Vien quindi quasi da aggiornare la storica canzone dei Punkreas. Nati una vita fa in quel di Parabiago ma poi cresciuti a pane e centri sociali. Che l’antagonismo e il punk sono sempre andati parecchio d’accordo.
Scontato quindi il supporto della band al Leoncavallo e al corteo di oggi pomeriggio. Che è il momento di unirsi e di contarsi. Ricordando il valore storico e culturale di questo frammento di Milano. E come la città abbia le sue fondamenta su un orizzonte valoriale diverso (antifascista). Con buona pace dei palazzinari. Come racconta Gabriele ‘Paletta’ Mantegazza, dal 1989 storico bassista del gruppo.
Cosa é stato per voi il Leoncavallo?
“Un trampolino di lancio. Oltre che una casa, visto che lo frequentavamo ancora prima della nascita della band. Ma grazie ai primi concerti su quel palco abbiamo iniziato a girare per tutta Italia. Che poi negli anni ’90 voleva dire muoversi proprio di piazza in piazza per centri sociali, dove ti permettevano di suonare ovunque e i ragazzi venivano a vederti anche se non ti conoscevano”.
Che idea si é fatto di quello che sta succedendo?
“Stanno annientando un pezzo di Milano. Un luogo di cultura libera e inclusione. Giusto per chi non lo sapesse, ricordo che già 35 anni fa era al Leoncavallo che gli immigrati di tutti i Paesi poteva seguire le loro prime lezioni d’italiano gratuite. Gente che poi ha messo su famiglia, fa andare la città, paga le tasse. Questo per raccontare solo una delle mille storie legate a un posto che viene chiuso per costruire l’ennesimo grattacielo”.
Stanno vincendo i palazzinari?
“Sembrerebbe così. Ma poi ora vediamo. Perché la strada che ci stanno indicando é quella di una città vuota, piatta, ghettizzata. Una metropoli che non ha ancora capito che per essere tale deve proteggere le diversità, farle dialogare, tenerle insieme. Il Leoncavallo al momento é una perdita gravissima per l’intera Milano e per le nuove generazioni”.
Che finiscono per pagare 100 euro un concerto.
“Esattamente. Io ho visto qui tutti i gruppi più importanti del punk a livello globale. Ci rendiamo conto? Ho lasciato un pezzo di cuore in quegli stanzoni. È al Leoncavallo che ho ascoltato i Mano Negra. Perché solo qui pagavi il giusto, ovvero quello che si trova nelle tasche di uno studente o di un operaio. Oggi ci sono invece i palazzinari dell’arte, non solo dei grattacieli”.
Il vostro segreto?
“Il pubblico. Sempre. Sono le persone il cuore di tutto in questi 36 anni di tournée. E la composizione del nostro pubblico la dice lunga su quello che siamo. Perché in prima fila ci sono gli adolescenti che ballano, pieni di energia e di intelligenza; appena dietro i trentacinquenni, più tranquilli ma che ancora riescono a muoversi; dietro i genitori dei ragazzini, che cantano con la birra in mano. É questo il nostro segreto e il nostro incredibile successo”.
Nel 1995 “Paranoia e Potere“ ha segnato una svolta per tanti.
“E infatti lo stiamo ancora portando in giro. Cosa che da artista mi entusiasma ma a livello umano trovo inquietante. Perché rispetto ai nostri testi non é cambiato nulla. E forse preferirei suonare un po’ meno attuale ma vedere la gente più felice”.
Una playlist per il corteo?
“Le pietre miliari: noi, i 99 Posse, Sud Sound System, Africa Unite. Non mancherà nessuno, ne sono certo”.
Sarete anche in strada o solo nelle casse?
“Ci saremo, assolutamente. Ci vediamo lì”.