
Rossano Carrisi, 60 anni, direttore della Fraternità Misericordia di Arese e presidente della Federazione Volontari del Soccorso Lombardia che rappresenta oltre 6.500 volontari
Arese (Milano) – “Ho fatto il primo corso per diventare volontario in ambulanza che ero minorenne”. Il periodo più difficile? “I mesi del Covid”. La cosa più bella? “Ho incontrato tante belle persone”. Lui è Rossano Carrisi, 60 anni, direttore della Fraternità Misericordia di Arese, da 43 anni impegnato nel soccorso sanitario, “un uomo che si è distinto per qualità morali, generosità e capacità professionali e organizzative”. Con questa motivazione giovedì a Palazzo Lombardia riceverà il riconoscimento Rosa Camuna assegnato dal consiglio regionale.
Cominciamo da qui, si aspettavo questo riconoscimento?
“Devo ammettere che è stato una sorpresa. Ero già stato candidato l’anno scorso e ero stato scelto, quando mi hanno detto che qualcuno mi aveva ricandidato anche quest’anno non ci speravo. Invece l’altro giorno mi ha chiamato il cerimoniale della Regione e comunicato la notizia”.
Quando hai iniziato?
“Ho fatto il primo corso di formazione con l’Avis Rho che all’epoca gestiva il servizio ambulanze che avevo solo 17 anni. Sono diventato soccorritore in ambulanza e nel 1986 anni sono entrato a far parte della grande famiglia della Misericordia di Arese, sono cresciuto, fino a diventare direttore generale nel 1992. Dal 2021 sono anche presidente della Federazione Volontari del Soccorso Lombardia che rappresenta 70 associazioni e oltre 6.500 volontari”.
Come è cambiato il modo di fare volontariato in questi quarant’anni?
“È cambiato in modo sostanziale e profondo, oggi abbiamo volontari che sono professionalmente molto preparati, basti pensare che quando ho cominciato io si faceva un corso di 16 ore e poi si poteva iniziare il servizio in ambulanza; oggi il corso è di 120 ore teoriche che diventano 200 con il tirocinio. I volontari oggi sanno una strumentazione molto avanzata e sono capaci di gestire anche situazioni complesse. Purtroppo negli anni è diminuito il numero di volontari, oggi chi si avvicina a noi lo fa come approccio per una futura professione in ambito sanitario, una volta c’era di tutto, anche la commessa che aveva del tempo libero da dedicare agli altri e sceglieva questo ambito”.
Qual è stato il periodo più difficile che ha vissuto in questi 43 anni?
“Gli anni del Covid e la gestione dell’emergenza, soprattutto nei primi mesi quando si conosceva ancora poco della pandemia. Sono stato nominato responsabile dell’unità di crisi il intorno al 23-24 febbraio 2020. A fine marzo ho iniziato a partecipare alle riunioni con Areu per gestire l’emergenza in Lombardia. Ho contratto il Covid e ne sono uscito dopo 42 giorni. Sono stati settimane molto pesanti”.
Invece quali sono i ricordi positivi?
“Sicuramente le belle persone che ho incontrato, tante, anche all’interno delle istituzioni. Per esempio qualche mese fa, proprio grazie a molti di loro, abbiamo mandato 33 tonnellate di aiuti destinati alla popolazione di Gaza”.
Con il Nucleo di protezione civile della Misericordia ha partecipato a molte missioni. Quale ricorda in particolare?
“Il disastro del Moby Prince, è stata una delle prime e delle più difficili. Mi sono rimaste le immagini di quella tragedia in testa per tantissimi anni”.