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Omicidio Giulia Tramontano, la sorella contro la difesa di Impagnatiello: “Parole offensive, è stato come vederla morire di nuovo”

All’indomani dell’udienza, Chiara si sfoga in un post Instagram: “Hanno definito l’atroce atto compiuto dall’assassino come “grave gesto”, come se si trattasse di una marachella”

Chiara Tramontano abbraccia la mamma, Loredana Femiano, nell'aula del Tribunale di Milano. A destra, Giulia, uccisa dal fidanzato Alessandro Impagnatiello

Chiara Tramontano abbraccia la mamma, Loredana Femiano, nell'aula del Tribunale di Milano. A destra, Giulia, uccisa dal fidanzato Alessandro Impagnatiello

Milano, 12 novembre 2024 – “Per i familiari di Giulia presenti in aula ieri, assistere al processo per il suo omicidio è stato come vederla morire una seconda volta”. È quanto si legge in una storia Instagram condivisa da Chiara Tramontano, sorella della 27enne uccisa con 37 coltellate dal fidanzato, e dagli altri familiari all'indomani della discussione del processo a carico di Alessandro Impagnatiello per omicidio volontario pluriaggravato.

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“Le parole della difesa sono risuonate offensive e insensibili, definendo l'atroce atto compiuto dall'assassino come un 'grave gesto’, come se si trattasse di un banale errore, una marachella, e non di un crimine efferato. La difesa - continua - ha affermato che, se l'assassino fosse stato un 'vero stratega’, avrebbe 'buttato il corpo’ di Giulia, come se si stesse parlando di immondizia, senza alcun rispetto per il valore di una vita umana. Parole che offendono non solo la memoria della vittima, ma anche chi rimane”.

Nel post si ricorda poi che "è stato chiesto di far cadere molteplici aggravanti, come se potessero essere ignorate. Con una raccapricciante lettura di messaggi inviati dall'assassino alla sua vittima dopo averla uccisa, siamo stati invitati ad apprezzare uno sipario di senso di colpa e richiesta di perdono. Una ridicola sceneggiatura”.

Il linguaggio viene definito "ridicolo e inumano” con il quale “quasi a voler nascondere l'assurdità delle proprie parole, la difesa ha chiesto la 'giusta pena’. Ma quale può essere la giusta pena per un essere così misero? Esiste davvero una pena adeguata per chi, con tale brutalità, priva una persona della sua vita e una famiglia della propria pace?”. Il post prosegue parlando di una “teatrale rappresentazione del fallimento dell'empatia verso la famiglia della vittima e di ogni valore umano. Nell'immagine di questo assassino - si legge - si nasconde tutto il fallimento dell'umanità, socialità, famiglia, e del rispetto dei sentimenti altrui”.

La lunga udienza

Ieri, in aula, dopo la lunga requisitoria della procura, la parola era passata alla difesa, sette ore di udienza in corte d’assise in cui le parti hanno ripercorso tutto il "viaggio nell’orrore", quello di una storia che sembrava d’amore, deflagrata, invece, in un massacro: Giulia ha firmato la sua condanna a morte il giorno in cui ha detto al compagno che aspettava un bambino. In quel momento Impagnatiello ha cominciato a pensare a come ucciderla e poi a come sbarazzarsi dell’"intralcio", così ha chiamato Thiago il giorno dell’interrogatorio. Il veleno per topi messo nella tisana che lui le preparava la sera, il dolore fisico provato da Giulia per i crampi allo stomaco che non riusciva a spiegarsi e quasi le strozzavano il respiro. E ancora le bugie di lui su tutto, sulla sua doppia vita, persino sulle piccole cose. Questa è stata la vita di Giulia nei sette mesi di gravidanza, finita con un vero e proprio "agguato", ha detto la pm Alessia Menegazzo, una aggressione feroce studiata nei dettagli dal barman che, in aula, assiste impassibile all’udienza. E invece, di tracce ne ha lasciate tantissime.

“Giulia aveva provato a lasciarlo, a tenersi il bambino e tornare a Sant’Antimo dalla famiglia – ha detto ancora la pm –. Giulia era una donna straordinaria, forte, pronta a occuparsi del suo bambino, ha incontrato l’amante del compagno e quando le è stato tutto chiaro, quando ha trovato le prove di quello che sospettava da tempo è tornata a Senago, nell’appartamento che condivideva con lui, per lasciarlo”. È a quel punto che il barman ha messo in atto l’agguato che aveva in mente da tempo.

Ergastolo quindi, ha ribadito l’aggiunto Letizia Mannella, che ha chiesto anche il riconoscimento di tutte le aggravanti: premeditazione, dolo diretto, occultamento di cadavere, crudeltà per le 11 coltellate in zone vitali, rapporto di parentela e futili motivi. Ergastolo ha chiesto anche la parte civile, rappresentata dall’avvocato Giovanni Cacciapuoti. 

Nell’arringa difensiva le avvocate di Impagnatiello, Samanta Barbaglia e Giulia Geradini hanno contestato la premeditazione: “La condotta grossolana posta in essere da Impagnatiello mal si concilia con l’immagine di pianificatore e stratega”. E ancora: “L’affermazione che Impagnatiello ha iniziato a progettare di uccidere la Tramontano da mesi prima non trova riscontro, l’ex barman sperava solo in un aborto spontaneo”.

Le avvocate hanno chiesto le attenuanti generiche, l’esclusione delle aggravanti e la pena che i giudici riterranno più opportuna. La sentenza arriverà il 25 novembre nella Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.