
Don Paolo Steffano guida quattro parrocchie "Serve una visione. Gli aiuti spot non bastano".
"L’educazione è quello che fa più male alla malavita. Ma non è sempre così semplice: qui ci sono ragazzi che non riescono nemmeno a permettersi la retta per iscriversi alle attività sportive (quaranta euro, ndr). E come fai a dire a un bambino, vieni a vedere la partita di calcio la domenica ma tu non giochi?". Don Paolo Steffano è alla guida di quattro parrocchie a Gratosoglio. Lo incontriamo nella casina accanto a Santa Teresa di Calcutta alle Terrazze, "l’ultima chiesa che hanno costruito a Milano", dice. Questo è un altro mondo, rispetto a quello sotto le torri popolari. "In questo quartiere ci sono dei gate, luoghi di passaggio tra chi se la passa un pochino meglio e chi malissimo". E qui, si sta decisamente meglio, anche se "dormo solo da questa parte". Sull’omicidio di Cecilia De Astis e sui bambini rom che guidavano l’auto rubata, vuole però essere chiaro: "Quello non è il Gratosoglio. Sono bambini cresciuti in una giungla di lupi. Immaginavo che non andassero a scuola, ma addirittura che non avessero i documenti, che non fossero nemmeno registrati all’anagrafe, questo no". Ma nel quartiere, non nasconde il Don , "c’è violenza, dispersione scolastica, storie di fragilità familiari che per raccontarle avrei bisogno di giorni. Ci sono risse, baby squillo, bambini che crescono con genitori in galera. Tutto questo è all’ordine del giorno. Un film dell’orrore che scorre in loop. Le mamme qui accompagnano le figlie alle fermate del tram come se stessero andando in areoporto". In questo quadro, però "le associazioni che ci credono e si impegnano ci sono. Il punto è che il sistema quartiere (e Steffano a Milano ne ha girati molti e difficili, a partire da Quarto Oggiaro), funziona se c’è una continuità, uno scheletro che regge tutto. Invece qui si continua con bandi, aiuti spot. Non siamo sostenuti minimamente". Un danno che ricade sopratutto sulle spalle di chi cerca di diventare grande, tirarsi fuori dalla criminalità che lo circonda: "I ragazzi e le ragazze del quartiere non è che possono essere aiutati un giorno sì e un giorno no. Bisogna seminare, innaffiare, raccogliere. I bambini qui hanno il desiderio di essere accompagnati dalla società, anche perchè a casa vivono spesso un vero inferno. E anche gli educatori cambiano sempre". Punti di riferimento pochi, la vita normale che sembra un sogno: "A volte porto i ragazzi del quartiere al Palaghiaccio, allo Stadio, o anche solo a vedere il Castello Sforzesco. A prendere un gelato, persino a fare un giro in metropolitana. Per loro è come andare su Marte. Quando hanno qualcuno che pensa a loro, è una felicità". Perchè qui i bambini vogliono esistere. "Quello che gli manca, il più delle volte , è solo avere una vera chance".
J.M.C