Milano, 20 novembre 2024 – “Poi ci sono sti albanesi... ci hanno messo mano ormai su tutto... cugi sono ovunque... sono capaci... in Sudamerica ci sono loro ormai”. L’ultima indagine della Finanza, che si è chiusa due giorni fa con venti arresti, ha certificato una volta di più il ruolo fondamentale della mala albanese nel traffico internazionale di cocaina.
Gli accertamenti investigativi dei militari di Pavia e dello Scico hanno ricostruito i canali di rifornimento del gruppo della Comasina – guidato prima dal figlio di don Pepè Davide Flachi (arrestato nel 2022 e condannato in primo grado a 20 anni di reclusione in abbreviato) e poi dall’erede Andrea Rozzo alias “Pesciolino” – nonché di quello che faceva capo ad Antonio Rosario Trimboli.
“Fra, è come noi, uomo d’onore in tutti i sensi”, scriveva Flachi jr il 17 febbraio 2021 del trentanovenne Saimir Bilacaj, che da Valencia governava il passaggio di quintali e quintali di “bianca” “in sinergia” col connazionale quarantaquattrenne Alban Begeja.
Contatti ramificati
I due broker, entrambi già ricercati dalla Dda di Bologna, “si avvalgono – si legge nell’ordinanza – di uomini che operano in America Latina, dove sono attivi in punti chiave dei Paesi produttori della cocaina (Colombia, Bolivia e Perù) e soprattutto nelle città dove sono presenti i porti intercontinentali utilizzati per il trasferimento dello stupefacente a mezzo container, come Guayaquil, Panama e Turbo”.
Allo stesso modo, prosegue il giudice, “i due albanesi controllano le attività relative alla ricezione dei carichi, attraverso il coordinamento di cellule operative distribuite nel Nord Europa e che hanno il controllo nei porti in Olanda (Rotterdam e Amsterdam), in Germania (Amburgo) e in Belgio (Anversa)”.
Secondo gli inquirenti guidati dal pm Gianluca Prisco, “l’organizzazione albanese, emanazione della struttura criminale mafiosa nota come ‘Kompania Bello’, ha operato in forma confederata con le compagini criminali ’ndranghetiste”.
La movimentazione del cash
Fin qui la prima parte della storia, relativa alla fornitura di coca per le piazze milanesi. Gli uomini delle Fiamme Gialle hanno acceso i riflettori pure sul secondo tempo dell’affare, vale a dire il pagamento dei carichi e il trasferimento dei soldi sull’altra sponda dell’Adriatico, fotografando “il ricorso sistematico a organizzazioni particolarmente strutturate, operanti sul suolo italiano, gestite perlopiù da soggetti di nazionalità cinese, detentori, ormai in via esclusiva, di canali bancari sommersi (il cosiddetto underground banking) che si fondano sul sistema fei ch’ien (meglio conosciuto in altri Paesi come sistema hawala)”.
Gli investigatori non hanno identificato i cambisti, ma hanno comunque individuato alcuni punti di raccolta: un bar in zona Buenos Aires, un appartamento a Chinatown e un’altra abitazione sulla Casilina a Roma. Agli intermediari, il denaro arrivava “attraverso lo scambio di parole di riconoscimento, precauzionalmente comunicate in chat, o, quasi sempre, attraverso l’esibizione del seriale di banconote da 5 euro, che in molti casi, a titolo di ricevuta, venivano contrassegnate con le cifre del denaro oggetto della consegna”.
E poi c’era l’alternativa, garantita dai gestori di una ditta di trasporti nella Bergamasca: in cambio di mille euro a viaggio, avrebbero inviato a Tirana 2,1 milioni in tre mesi e mezzo per conto di Rozzo, Gullì e Trimboli.
Proprio monitorando la sede dell’azienda, gli investigatori hanno intercettato il 19 settembre 2023 una Golf con doppiofondo sotto il pianale dei sedili posteriori e 782.460 euro.