GIULIA BONEZZI
Cronaca

Le febbri tropicali sono tra noi. Così malattie (un tempo) esotiche infestano la nostra giungla d’asfalto

L’infettivologo Paolo Bonfanti racconta le arbovirosi trasmesse dagli insetti che il cambiamento climatico aiuta "L’anomalia della Dengue: importante che si vaccini chi l’ha avuta, se si reinfetta rischia molto di più".

West Nile ma non solo, ecco i virus della giungla urbana

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Milano, 6 agosto 2025 –  Estati che alternano ondate di calore e temporali, e anche Milano pare catapultata intorno al 23esimo parallelo. Un Tropico di Lambrate senza spiagge esotiche né acque cristalline, ma in compagnia di virus che il cambiamento climatico ha lasciato diffondere nella nostra giungla d’asfalto. Ne parliamo con Paolo Bonfanti, professore di Malattie infettive alla Bicocca e primario all’Irccs San Gerardo di Monza.

Il West Nile tra noi

Ad allarmare l’opinione pubblica quest’anno è in particolare il virus “del Nilo Occidentale”, arrivato dall’Africa nel Nord del mondo con gli uccelli migratori che ne sono il serbatoio e trasmesso dalla nostra zanzara comune (come il cugino Usutu, più pericoloso per gli uccelli ma meno per noi e piuttosto raro). La West Nile, chiarisce Bonfanti, "ormai è diventata autoctona: ci dobbiamo convivere e prevedere che ogni anno tornerà".

L’effetto clima

E in questo caso, sottolinea l’infettivologo, il cambiamento climatico incide solo perché allunga la stagione di vita dell’insetto-vettore: "Rispetto al 2008, quando abbiamo avuto i primi casi in Italia, si è esteso fino a novembre il sistema di sorveglianza che prevede l’obbligo di invio dei campioni ai laboratori di riferimento per ogni ricoverato in ospedale con l’encefalite oltre al monitoraggio delle zanzare, dei volatili, dei cavalli (che sono "ospite terminale" come noi) e, in caso di positività, controlli rigidi "sulle donazioni di sangue e organi nella provincia interessata", ricorda il medico.

Senza vaccino

Sottolineando anche il sommerso della West Nile che "nel 70% dei casi è asintomatica, e colpisce in maniera grave soprattutto persone anziane o immunodepresse" benché al momento tra le arbovirosi sia "la più pericolosa, almeno per chi rimane in Italia". Anche perché "non abbiamo un vaccino, se non per i cavalli - spiega -. Produrlo è complicato: i focolai epidemici sono localizzati, e l’imprevedibilità del luogo in cui si verificheranno rende difficile reclutare pazienti per gli studi. Ma non è escluso che con l’evoluzione delle tecnologie ci si arrivi, bisogna andare avanti".

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Le malattie del viaggiatore

Diverso è il caso dei virus trasmessi dalla zanzara tigre, vettore arrivato da noi 35 anni fa sull’onda della globalizzazione "e il cambiamento climatico ha contribuito alla sua diffusione, creando un habitat più adatto", spiega l’infettivologo. Parliamo della Chikungunya o “febbre spaccaossa”; dello Zika, "per il quale è possibile anche la trasmissione interumana, attraverso rapporti sessuali, ed è particolarmente pericoloso per le donne in gravidanza, ma dopo un’espansione in Sudamerica una decina di anni fa ha visto i casi ridursi moltissimo sia lì che, di riflesso, da noi", e della Dengue, "la più insidiosa". Che però, nonostante alcuni focolai a trasmissione autoctona (come l’anno scorso nel Bresciano, due anni fa nel Lodigiano), "rimane, come le altre due, una malattia tropicale, per noi “del viaggiatore” - sottolinea Bonfanti –. Mentre in Africa e in Sudamerica è perenne, qui compare solo nella stagione in cui vive l’insetto che la trasmette, quando qualcuno ce la porta, perché il “serbatoio” siamo noi, gli esseri umani. Per questo chi ha una storia recente di viaggi in Paesi a rischio in caso di febbre estiva alta o persistente, dolori forti, esantema dovrebbe rivolgersi al medico o andare in ospedale a fare il test".

I rischi della reinfezione da Dengue

Se per la Chikungunya "si sta sviluppando un vaccino, anche se non è stato ancora registrato dalle autorità del farmaco", per la Dengue esiste già. E la sua peculiarità è che è importante farlo se si sa di averla già avuta, a maggior ragione se si ha intenzione di visitare posti in cui il virus è endemico. Perché di questo virus "esistono quattro sottotipi", e l’immunità prodotta dall’averne contratto uno (a differenza di quella garantita dal vaccino) vale soltanto per quel tipo, "mentre paradossalmente ci rende più vulnerabili agli altri, a causa di un fenomeno immunologico particolare - spiega Bonfanti -. Chi si reinfetta rischia di contrarre la malattia in forma molto più grave".

L’arbovirosi venuta dal Nord

Se il Toscana virus (Tosv) trasmesso dai pappataci è un’arbovirosi nostrana, scoperta in Toscana cinquant’anni fa, e sul fronte opposto l’Oropuche, comparso in Europa solo l’anno scorso, al momento è intrasmissibile qui perché manca il moscerino-vettore, c’è un’altra malattia virale nostrana, la Meningoencefalite da zecche o TBE, che in Lombardia è scesa dal Nord: "È una patologia endemica nelle zone montane della Mitteleuropa e nelle nostre regioni di confine, Trentino Alto-Adige e Triveneto – spiega l’infettivologo – ma negli ultimi anni abbiamo visto qualche caso". Di nuovo, colpa “del clima“ che ha aumentato le chance di sopravvivenza degli insetti (minacciando le nostre).