MARIANNA VAZZANA
Cronaca

L’analisi del sociologo: "Il disagio si può prevenire. Serve una rete di sostegno per famiglie in difficoltà"

Il professor Terraneo: "Abbiamo assistito a uno sfilacciamento dei legami. I ragazzi di seconda generazione spesso vivono una doppia marginalità".

Il professor Terraneo: "Abbiamo assistito a uno sfilacciamento dei legami. I ragazzi di seconda generazione spesso vivono una doppia marginalità".

Il professor Terraneo: "Abbiamo assistito a uno sfilacciamento dei legami. I ragazzi di seconda generazione spesso vivono una doppia marginalità".

"Le rapine violente commesse da giovanissimi sono il segno di un progressivo sfilacciamento delle reti sociali. Se gli autori sono italiani di seconda generazione, molto spesso alla mancanza di una rete sociale di sostegno si aggiunge la difficoltà di integrazione". A fare luce sul fenomeno è il sociologo Marco Terraneo, direttore del Master in devianza, sistema della giustizia e servizi sociali dell’Università di Milano Bicocca, oltre che professore del Dipartimento di sociologia e ricerca sociale dello stesso ateneo.

Professore, cosa c’è alla base del disagio giovanile? "Purtroppo, gli episodi violenti non sono un fenomeno recente ma assistiamo da anni a rapine e aggressioni in strada compiute da giovanissimi. La premessa è che la violenza non è mai giustificata. Ma il fenomeno è da analizzare. Innanzitutto, il disagio giovanile non è un fatto isolato ma è ormai strutturale alla società. Alla base della devianza c’è la mancanza di una rete sociale di sostegno: se il giovane cerca la sua strada senza un supporto adeguato capita si perda e, per chi ha origini straniere, o nasce da genitori stranieri, la questione si complica. Perché si può aggiungere la frustrazione di non sentirsi accettati dalla società. Quindi giovani che magari già vivono in una situazione di disagio dovuta alle ridotte possibilità economiche, spesso si trovano a fare i conti con discriminazioni anche etniche, pur essendo nati in Italia. Tutti ostacoli che, guardando dalla loro prospettiva, impediscono di arrivare alle mete ritenute importanti: soldi, successo... Che a quel punto provano a raggiungere con mezzi anche non leciti".

Organizzandosi anche in bande... "Non sempre. Nel caso di Fulvio Testi, ad esempio, non parlerei di gang, sia perché ad agire sono stati in due (un terzo non ha partecipato all’azione, ndr) e sia perché non mi pare ci sia stata una “visione di gruppo“ ma un attacco dettato dall’incontro del momento, che ha spinto a rubare quel che si sono trovati davanti: un borsello con oggetti di pochissimo valore. Io immagino in questo caso che all’origine ci sia una doppia marginalità vissuta, quella legata a un disagio economico e a ridotte possibilità, che può aver indotto questi ragazzi, magari non seguiti adeguatamente dalle famiglie, a lasciare gli studi, e in secondo luogo la difficoltà a trovare una collocazione in una società che “etichetta il migrante“, anche se loro migranti non sono. Ma questo aggrava la condizione di disagio".

Soluzioni? "Questi due ragazzi, sedicenni, sono già recidivi visto che hanno precedenti. Che soluzioni sono state attuate finora? Hanno commesso reati ed erano liberi, senza che per quanto ne sappiamo avessero intrapreso un percorso, prima di tutto di integrazione. Io penso che adesso, in carcere, si debbano dare loro gli strumenti affinché trovino una loro collocazione nella società, una volta fuori. Il carcere non deve separare i buoni dai cattivi".

E invece per prevenire, cosa si potrebbe fare? "Mettere in campo i Servizi sociali, ancora di più, e pensare a percorsi di integrazione personalizzati per le famiglie di origine straniera. Fortunatamente, non sempre il disagio si trasforma in violenza. Ma certe situazioni si possono e si devono intercettare prima: nessun ragazzo deve restare abbandonato a sé stesso".

Marianna Vazzana