ANNA GIORGI
Cronaca

Chamila temeva De Maria, i colleghi della donna uccisa dal detenuto in permesso: “Scatti d’ira e troppe liti”

Le testimonianze dei colleghi della donna uccisa dal detenuto in permesso. Il quadro della condotta del killer cambia: ora si indaga su eventuali omissioni

Emanuele De Maria, 35 anni, al Parco Nord poco prima di uccidere Chamila, 50

Emanuele De Maria, 35 anni, al Parco Nord poco prima di uccidere Chamila, 50

Milano – “Aveva paura di essere ammazzata da lui” Chamila Wijesuriya, 50 anni, la barista dell’hotel Berna uccisa a coltellate il 9 maggio scorso da Emanuele De Maria, il detenuto per femminicidio ammesso al lavoro esterno nell’albergo, che ha anche tentato di uccidere a coltellate anche Hani Fouad Nasra, un altro dipendente colpevole di aver messo in guardia la donna. Emerge un quadro più complesso dopo le testimonianze raccolte in questi ultimi giorni tra i colleghi della donna nell’inchiesta bis aperta dal pm Francesco De Tommasi che punta a chiarire eventuali “errori“ nella catena di controllo sulla condotta del “detenuto modello“ e sta scavando su ipotetiche sottovalutazioni e mancate segnalazioni nel percorso del 35enne.

Da quanto risulta, dalle numerose audizioni dei testimoni di questi giorni, in particolare di colleghi dell’albergo, è emerso dunque che la donna si era già detta molto spaventata dai comportamenti di De Maria e temeva già per la sua vita, tanto che voleva che lui si allontanasse da lei. Il datore di lavoro, che avrebbe avuto l’obbligo di segnalare al carcere eventuali anomalie, ne era venuto a conoscenza? Sapeva qualcosa e non ha lanciato un allarme? Nelle relazioni della casa di reclusione di Bollate il 35enne De Maria veniva descritto come un detenuto modello: una persona totalmente equilibrata, senza scompensi psichici, che in ambito lavorativo si era costruito anche delle relazioni affettive.

Da giorni gli inquirenti hanno avviato una serie di verifiche - oltre all’inchiesta per omicidio e tentato omicidio premeditati, condotta da Carabinieri e Polizia, e che sarà archiviata per morte del reo - effettuate nell’ambito di un fascicolo autonomo. Indagine da cui sarebbero venute a galla anche alcune “manifestazioni”, come litigi pregressi e diversi scatti d’ira, che avevano insospettito, soprattutto la donna e ora stanno cambiando il quadro del “detenuto modello“. Intanto, anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha avviato attività ispettive e ha chiesto al Tribunale di Sorveglianza una relazione urgente sul caso e tutti gli atti, tra cui le due relazioni dell’equipe di psicologi ed educatori del carcere del 2023 e del 2024 e il provvedimento con cui la giudice Giulia Turri ha approvato la proposta di lavoro esterno.

Era stata la direzione del carcere di Bollate a chiedere al Tribunale di sorveglianza l’autorizzazione per far lavorare il 35enne alla reception dell’albergo, data la sua conoscenza delle lingue. Struttura che, la settimana scorsa, quando il 35enne non si è presentato ha fatto subito scattare l’allarme. Finora nessun elemento aveva lasciato ipotizzare che ci fosse stato un errore dei soggetti intervenuti nel processo di rieducazione. Addirittura per la Sorveglianza “nulla poteva lasciare presagire l’imprevedibile e drammatico esito”, ha scritto. Su tutti questi elementi potranno far luce eventualmente anche gli ispettori del Ministero della Giustizia.