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La Lombardia vieta di lavorare all’aperto nelle ore più calde: sintomi e rischi del collasso per temperature estreme

Dal 2 luglio stop alle attività dalle 12.30 alle 16.00 nelle zone indicate dalla mappa Worklimate. Quali sono i pericoli nascosti per chi lavora sotto il sole: tra le categorie a rischio muratori e agricolori

In situazioni di caldo estremo, disporre di acqua fresca nelle vicinanze del posto di lavoro è fondamentale, con la raccomandazione di bere almeno mezzo litro ogni ora

In situazioni di caldo estremo, disporre di acqua fresca nelle vicinanze del posto di lavoro è fondamentale, con la raccomandazione di bere almeno mezzo litro ogni ora

Milano – Da mercoledì 2 luglio e fino al 15 settembre 2025, in Lombardia sarà vietato lavorare all’aperto nelle ore più calde della giornata, dalle 12.30 alle 16.00. Questo divieto non riguarda tutti i giorni del periodo indicato, ma solo nelle zone dove c’è un rischio “alto” per i lavoratori nella mappa Worklimate che viene aggiornata quotidianamente.

L’ordinanza firmata dal presidente Attilio Fontana riguarda i lavoratori delle aree edili, cave, aziende agricole e florovivaistiche. E rappresenta una risposta concreta ai rischi del caldo estremo che minacciano quotidianamente migliaia di lavoratori esposti al sole. Il divieto non si applica alle pubbliche amministrazioni, ai concessionari di pubblico servizio, ai loro appaltatori, agli interventi di protezione civile e di salvaguardia della pubblica incolumità

Emergenza climatica

La decisione arriva in un momento di emergenza climatica. L’ultimo bollettino del Ministero della Salute ha contato 11 città in bollino rosso, con picchi da record: 42 gradi in Sardegna, 38 a Firenze e Bologna. A Brescia lunedì si sono registrate temperature eccezionali: 37,4 gradi a Chiesanuova, 36,9 a Fornaci.

Il provvedimento non è casuale: secondo i dati Inail, in Italia si registrano in media 4.272 infortuni all’anno attribuibili al calore, con costi di risarcimento che superano i 49 milioni di euro annui. Ma dietro questi numeri si nasconde una realtà più complessa: quella di chi lavora quotidianamente sotto il sole e rischia la propria incolumità per condizioni climatiche sempre più estreme.

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Quando il corpo dice basta: i segnali del colpo di calore

L’esposizione al calore durante l’attività lavorativa può portare a colpi da calore fino, nei casi più estremi, alla morte. I settori più colpiti sono proprio quelli inclusi nell’ordinanza lombarda: edilizia, agricoltura e florovivaismo, dove l’esposizione prolungata al sole si combina con uno sforzo fisico intenso.

I sintomi del colpo di calore includono confusione mentale, disorientamento, perdita di conoscenza, convulsioni, pelle calda e secca, e temperatura corporea elevata oltre i 38 gradi Celsius. Prima di arrivare a questo stadio critico, il corpo lancia diversi segnali d’allarme: stanchezza insolita, vertigini, nausea, mal di testa, crampi muscolari e sudorazione eccessiva.

Se non viene trattato immediatamente, un colpo di calore può portare anche a collasso e perdita di coscienza, eventi che sono imputabili al calo della pressione sanguigna e alla conseguente diminuzione dell’apporto sanguigno al cervello.

Un muratore che lavora su un cantiere in pieno luglio, esposto al cemento che riflette il calore e con addosso indumenti protettivi, può vedere la propria temperatura corporea salire rapidamente. Il caldo può ridurre la concentrazione, aumentare i tempi di reazione e provocare affaticamento, incrementando di conseguenza il rischio infortuni sul lavoro.

Agricoltura e edilizia: i lavori più pericolosi

I braccianti agricoli rappresentano una delle categorie più vulnerabili. Lavorano nei campi aperti, spesso senza riparo o accesso facile all’acqua, con la natura stagionale di alcune colture che rende il lavoro intenso proprio nei mesi più caldi. Spesso trascorrono ore in serre dove la temperatura può superare quella esterna, oppure manipolando piante e terreni sotto il sole diretto.

Nel settore edilizio, la situazione non è migliore. Operai, manovali, muratori e carpentieri svolgono mansioni fisicamente gravose sotto il sole diretto per ore, mentre il cemento e l’asfalto assorbono e rilasciano calore, creando un ambiente rovente. Un operaio che maneggia attrezzi pesanti o lavora in altezza con capacità cognitive ridotte diventa una minaccia per sé e per i colleghi. Aumenta, poi, il rischio di precipitare da grandi altezze a seguito di uno svenimento.

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I costi nascosti del caldo estremo

Oltre al dramma umano, il caldo estremo genera conseguenze economiche significative. Uno studio Inail-Cnr ha calcolato una perdita media di produttività del 6,5 per cento per ogni grado di aumento della temperatura oltre i 20 gradi per i lavori ad alto sforzo metabolico, con punte che possono raggiungere l’80 per cento in condizioni di forte impegno fisico.

Questi dati dimostrano come l’ordinanza lombarda non sia solo una misura di tutela della salute, ma anche un investimento economico intelligente. Prevenire infortuni e malori significa evitare costi sanitari, risarcimenti e perdite di produttività che pesano sull’intero sistema economico regionale.

Cosa devono fare le aziende (e cosa possono pretendere i lavoratori)

Le principali misure di prevenzione includono: disporre di acqua fresca nelle vicinanze del posto di lavoro con la raccomandazione di bere almeno mezzo litro ogni ora, programmare frequenti periodi di pausa in luoghi adeguati, variare l’orario di lavoro per sfruttare le ore meno calde, e prevedere l’uso di indumenti leggeri e traspiranti.

Per i lavoratori, è fondamentale conoscere i propri diritti. Il D.Lgs 81/08 prevede il diritto di allontanarsi dal posto di lavoro in caso di pericolo grave e immediato che non possa essere evitato. Questo include situazioni di caldo estremo che mettano a rischio la salute, purché il rifiuto sia comunicato tempestivamente al datore di lavoro.

Particolare attenzione deve essere posta ai fattori che aumentano il rischio: età, obesità, assunzione di alcool o caffeina, utilizzo di farmaci e condizioni personali di salute come le cardiopatie. I datori di lavoro devono prevedere controlli periodici per i lavoratori più vulnerabili e programmi di acclimatamento per i nuovi assunti.