
Stazione Sant’Ambrogio, l’elevatore non c’è ma l’ingresso non è chiuso. Il Comitato degli iscritti Filt-Cgil: "Incolumità del personale a rischio. Soltanto una scritta a pennarello segnala il pericolo di cadere".
AnastasioLe Piazze Aperte attraverso il ricorso all’urbanistica tattica e le piscine che, invece, restano per gran parte chiuse nel pieno dell’afa estiva in attesa che siano operatori privati a rilevarne la gestione. Gli oneri di urbanizzazione scontati ai grandi operatori immobiliari che investono in interventi di rigenerazione (più o meno contestati dalla procura) e bandi per l’affitto di locali comunali che, invece, fanno gravare persino le spese per le manutenzioni straordinarie sulle spalle di associazioni che si candidino a portarvi attività sociali o culturali. Uno stadio e i suoi immediati dintorni presto in mano a due grandi club di calcio e, invece, il Museo del Fumetto e la Libreria dei ragazzi costretti (almeno per ora) a chiudere e a riaprire altrove. Contrasti che fanno di Milano quasi due metropoli in una. Contrasti che fin qui non sono passati sotto silenzio, ma sicuramente non hanno riscosso il clamore né hanno suscitato l’impressione della mega-insegna del gruppo Generali che cede, là in cima al grattacielo progettato da Zaha Hadid a Citylife, quello dei tre ribattezzato "Lo Storto". Basta un breve viaggio sui social per rendersi conto di quanto questo fatto abbia colpito una certa opinione pubblica. Soprattutto, in diversi hanno visto o hanno voluto vedere nel cedimento della mega-insegna il cedimento, anzi il crollo del "modello Milano". Le domande, allora, sono inevitabili. A quale "modello Milano" si fa riferimento? Quello proposto (almeno sulla carta) dalle amministrazioni di centrosinistra dal 2011 ad oggi? Vale a dire: il ritorno allo spazio pubblico e alla socializzazione negli spazi pubblici, la moltiplicazione di piccoli e grandi presidi di socialità e cultura in città, in particolare nelle periferie, la partecipazione dal basso, la città a 15 minuti e altro ancora. Il cedimento di questo "modello Milano" è meglio raccontato dalle piscine pubbliche chiuse in attesa del soccorso privato, dai bandi comunali off limits per le associazioni o gli enti del sociale, dal Museo del Fumetto che lascia (almeno per ora) viale Campania, dai titolari della Libreria dei ragazzi costretti a gettare la spugna dopo 53 anni. Forse il riferimento al "Modello Milano" è al verde sacrificato o semplicemente ignorato nella riqualificazione di importanti piazze cittadine (vedi la nuova San Babila post M4). Ma se così fosse, esempio meglio calzante della crisi di questo modello sarebbe la questione del nuovo statuto del Parco Agricolo Sud, del quale fa parte anche la Città Metropolitana di Milano, sul quale ha voce in capitolo anche il sindaco metropolitano. Una questione che non sembra aver scaldato il Comune di Milano, a differenza di quanto avvenuto in altri Comuni. Se infine il "modello Milano" al quale si fa riferimento è quello dei grandi interventi e dei grandi operatori immobiliari, il cedimento della grande insegna delle Generali può sicuramente ammaccare l’immagine di questo modello, accartocciarne la copertina. Ed in parte è già successo. Ma da questa vicenda, per fortuna senza conseguenze per nessuno, sembra potersi trarre una vecchia morale, solo un poco rivisitata: fa più clamore una mega icona che cade rispetto al deserto di luoghi che si sta estendendo tutt’intorno.