Caso Pifferi e le due psicologhe indagate. Lettera aperta di volontari e avvocati per difenderle

Una missiva, indirizzata alla procuratrice Nanni e alla presidente del Tribunale di Sorveglianza, Di Rosa, a sostegno delle due professioniste sotto inchiesta per falso e favoreggiamento

Alessia Pifferi con l'avvocato Alessia Pontenani

Alessia Pifferi con l'avvocato Alessia Pontenani

Milano – Una lettera aperta a sostegno delle due psicologhe indagate a latere del caso Pifferi. L’hanno scritta decine di “operatori, volontari, associazioni e realtà a vario titolo legate all'ambito penitenziario”, ma anche avvocati. La missiva, indirizzata alla procuratrice generale di Milano Francesca Nanni e alla presidente del Tribunale di Sorveglianza Giovanna Di Rosa, esprime la “preoccupazione rispetto al procedimento in corso a carico di due operatrici sanitarie, che prestano il loro servizio professionale nella Casa Circondariale di Milano San Vittore”.

Si tratta delle due psicologhe, che si sono occupate di Alessia Pifferi, a processo per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana, indagate per falso e favoreggiamento, assieme al legale dell'imputata, in una tranche di indagine aperta dal pm Francesco De Tommasi.

"Anzitutto ci preoccupa - si legge nella lettera - che chi dedica con fatica la propria professionalità per realizzare il mandato che la legge attribuisce al carcere, venga colpito nell'esercizio del proprio lavoro".

Chi lavora in carcere "sa bene che il problema più grande con cui si sta confrontando il sistema penitenziario è la gestione di una popolazione detenuta con un altissimo tasso di malattia psichiatrica, anche grave, o con ritardo cognitivo”. Perché allora, scrivono ancora, “pensare di penalizzare la condivisione di informazioni relative alla salute mentale delle persone detenute, da parte degli operatori sanitari del carcere nei confronti dell'Autorità Giudiziaria? Riteniamo infatti - aggiungono - che questa prassi non solo non sia da penalizzare, ma da incentivare, soprattutto prima che venga emessa la sentenza dal giudice competente, affinché questi ne possa tenere conto ed, eventualmente, disporre gli opportuni accertamenti, necessari ad un pronunciamento equo”. Tra i firmatari della missiva la “Cappelania presso la casa circondariale San Vittore”, don Virginio Colmegna, don Gino Rigoldi, la Cgil di Milano e il Consiglio direttivo della Camera penale milanese.