Caso Pifferi, il secondo fronte. La psicologa sotto indagine: "Perquisita, trauma umiliante"

Interrogate le due professioniste sospettate di aver favorito la madre infanticida Entrambe tacciono, ma una scrive una lettera: "Annientata, mai più in carcere"

Alessia Pifferi con l'avvocato Alessia Pontenani

Alessia Pifferi con l'avvocato Alessia Pontenani

Milano, 31 gennaio 2024 - Entrambe le psicologhe del carcere di San Vittore, indagate per favoreggiamento e falso ideologico in una costola parallela del processo ad Alessia Pifferi, la mamma che ha lasciato morire di stenti la piccola Diana, sono rimaste in silenzio nell’interrogatorio davanti al pm Francesco De Tommasi. Quasi scontata la linea tenuta dalle due professioniste, a maggior ragione di fronte a una accusa che appare “spaccata“ dopo la decisione della pm Rosaria Stagnaro di lasciare l’incarico in polemica con il collega De Tommasi che - sostiene - non l’avrebbe informata sulla tranche d’inchiesta, su cui ad ogni modo non sarebbe stata d’accordo.

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Paola Guerzoni, ieri mattina, difesa dal legale Mirko Mazzali, ha depositato una lettera in cui ha racconta la sua storia professionale, rappresentato il suo dolore per l’indagine e annunciato che non lavorerà mai più in un carcere. "Vivo con angoscia e stupore allo stesso tempo. Sono affranta e basita. Sono riusciti a spaventarmi e umiliarmi per motivi che fatico a comprendere", scrivela la psicologa di 58 anni, indagata con la collega perché, secondo l’accusa, avrebbe aiutato, falsificando atti tra cui un test psicodiagnostico, la mamma assassina Alessia Pifferi. La professionista, che per 30 anni ha lavorato nelle carceri, gli ultimi dei quali a San Vittore, nel documento chiede anche ai vertici dell’ospedale San Paolo e dell’Asst di trovare per lei "una alternativa", perché non vuole più "lavorare all’interno di qualsiasi penitenziario".

E prosegue : "La perquisizione ha coinvolto la mia famiglia ed è stata un trauma personale". Dice di essere "innocente" e convinta che "la verità verrà a galla", parlando di "fortissimo dolore e annientamento". "I magistrati - ha chiarito Mazzali - sono intervenuti a gamba tesa sull’attività professionale delle psicologhe e dell’avvocata ed è preoccupante. Non credo - ha proseguito - a un accanimento, ma contesto le valutazioni fatte: hanno sbagliato a fare un test, sostiene l’accusa, e questo è un reato? Questo è il tema. Lei è stata rovinata". La mia esperienza, ha scritto ancora la 58enne, "mi ha portato a essere spesso ingaggiata in situazioni molto complesse e a volte pericolose che riguardavano i detenuti più difficili. Ho sempre speso la mia professionalità verso gli ultimi degli ultimi. Mi sono sempre occupata di coloro che non avevano nulla e nessuno. Ho speso la mia vita per i detenuti".

Anche l’altra psicologa, Letizia Marazzi, ha scelto la linea del silenzio. Intanto l’indagine sulle due professioniste prosegue, anche sulla base del risultato delle intercettazioni che sono state autorizzate due mesi fa dal gip Fabrizio Filice che aveva ravvisato nel loro comportamento gravi indizi di reato.

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