NICOLA PALMA
Cronaca

Bonus bebè e affitti della Regione, dieci anni dopo la bocciatura finale: discriminatori per gli stranieri

Il verdetto della Cassazione sulle due delibere varate nel 2015: sono in contrasto con disciplina europea e Costituzione. Le leggi nazionali che ne avevano giustificato l’approvazione erano già state bacchettate da Consulta e Corte dell’Ue

Neonati in un reparto maternità

Neonati in un reparto maternità

Milano, 3 settembre 2024 – Ormai sono trascorsi quasi 10 anni dal varo delle due delibere della Regione finite nel mirino. E nel frattempo le sentenze di Corte Costituzionale e Corte di Giustizia dell’Unione europea hanno sostanzialmente demolito le leggi nazionali che ne facevano da architrave e ne avevano giustificato l’approvazione. Il contenzioso legale è andato comunque avanti fino alla Cassazione, che ha ratificato quanto stabilito dalla Corte d’appello di Milano il 14 maggio 2019: in sintesi, sia il requisito dei 5 anni di residenza di entrambi i genitori per accedere al bonus bebè sia il requisito della residenza da almeno 10 anni nel territorio (o almeno 5 in Lombardia) per i soli cittadini di Paesi extra Ue per poter usufruire del bonus affitti sono stati ritenuti discriminatori nei confronti dei cittadini stranieri.

A sollecitare l’intervento dei giudici sono stati i legali di Apn (Avvocati per niente) e Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione), che nel 2015 hanno subito impugnato i provvedimenti della Giunta all’epoca guidata dal presidente Roberto Maroni. Come si legge nelle motivazioni pubblicate nei giorni scorsi, la Suprema Corte ha confermato il verdetto di merito.

L’ordinanza parte da una premessa, che affonda le radici nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: “Ogni persona che risieda o si sposti legalmente all’interno dell’Unione ha diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali”. E ancora: “L’esclusione della legittimità di discipline differenziate emerge anche dalla giurisprudenza comunitaria, che ha chiarito che il principio di parità di trattamento, in diversi ambiti e con riferimento al settore della sicurezza sociale e alle prestazioni familiari, ha portata generale e le deroghe devono essere intese in senso restrittivo”.

Detto questo, la Cassazione ha esaminato i due bonus singolarmente. Per quanto riguarda quello per il sostegno all’affitto, i giudici hanno citato la sentenza della Consulta numero 166 del 2018, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 11 comma 13 del decreto legislativo 112 del 2008, che ha inserito per “i soli immigrati” il paletto del possesso del certificato storico di residenza da almeno 10 anni nel territorio o da almeno 5 anni nella medesima regione. Quindi, “in tale contesto normativo – la riflessione della Suprema Corte – bene hanno fatto i giudici di merito a prendere atto che la norma presupposto della delibera impugnata era stata cancellata dall’ordinamento”. Tradotto: “Può dunque affermarsi che la delibera disciplinante il bonus affitti contrasta con la disciplina europea, la Costituzione e la disciplina legale nazionale”.

I giudici sono arrivati alla medesima conclusione pure per il bonus bebè, tirando in ballo in via preliminare la sentenza della Corte di Giustizia europea sul diritto dei cittadini di Paesi terzi titolari di un permesso unico di beneficiare dell’assegno di natalità e maternità. Come se non bastasse, nel 2022 è intervenuta nuovamente la Corte Costituzionale per bocciare l’articolo 1 comma 125 della legge 190 del 2014, che ha escluso dal bonus bebè “i cittadini di Paesi terzi che sono stati ammessi nello Stato” per fini lavorativi e non. Da qui il doppio stop, con condanna della Regione a pagare 6mila euro di spese legali.