
Alessia Pifferi, 40 anni, durante una delle udienze del processo di primo grado concluso con la condanna all’ergastolo
Milano – La “mia mente si era disconnessa”, e così anche nei fine settimana precedenti, quando la piccola Diana, che aveva meno di un anno e e mezzo, era stata abbandonata nell’appartamento in via Parea. Quando il compagno, nella Bergamasca, chiedeva dove si trovasse la bambina “riconnettevo la mente a lei”. E a quel punto Alessia Pifferi mentiva, raccontando che la figlia si trovava al mare con la sorella. La 40enne ha parlato di una sorta di blackout, in quei sei giorni del luglio 2022, preceduti da altri episodi di abbandono, nei colloqui in carcere con i periti nominati dalla Corte d’Assise d’Appello (Giacomo Francesco Filippini, Stefano Benzoni e Nadia Bolognini) che hanno concluso stabilendo la piena capacità di intendere e di volere della donna, condannata in primo grado all’ergastolo per omicidio volontario per aver lasciato morire di stenti Diana.
Durante gli incontri ha spiegato di non aver voluto uccidere la bambina, si è lamentata per il “battage mediatico”, per la reazione delle detenute e per l’atteggiamento della madre e della sorella, ha spiegato che la nuova relazione sentimentale allacciata in carcere le ha permesso di “affrontare in qualche modo il lutto per la perdita della figlia”. Emerge, dagli incontri, un “marcato deficit dell’attenzione e della memoria di lavoro”. Colloqui che, dal presente in cella, sono tornati al passato. Alessia Pifferi ha raccontato di aver subito “abusi nell’infanzia”, come aveva già riferito nel corso della perizia effettuata nel processo di primo grado.
I nuovi periti hanno esaminato anche i disegni che Alessia Pifferi faceva quando era bambina, anni in cui era seguita dal servizio di Neuropsichiatria territoriale, concludendo che “avesse interiorizzato una rappresentazione del ruolo genitoriale come connesso a sequenze accuditive di nutrimento, cura e protezione dei bambini”. Dalla documentazione scolastica emerge che “alle elementari il quadro di funzionamento di Alessia ha effettivamente aspetti disarmonici, con alcune aree maggiormente funzionali e altre più deficitarie”.
Formulano quindi, sulla base della documentazione esaminata, dei nuovi test effettuati e dei colloqui, una diagnosi: “Esiti in età adulta di disturbo di neurosviluppo con residua fragilità cognitiva settoriale e immaturità affettiva, non significativamente invalidanti sul funzionamento psico-sociale”. Un disturbo “non di gravità tale da poter interferire sulla capacità di intendere e/o di volere”. Esprimono “soddisfazione” per l’esito della perizia la sorella e la madre di Alessia Pifferi, parti civili con l’avvocato Emanuele De Mitri, che tornano a chiedere “giustizia” per Diana. La perizia, secondo l’avvocata Alessia Pontenani, legale della donna, conferma “la fragilità intellettiva e i problemi mnemonici”.